I partigiani: è un manifesto di libertà Don Brusegan: rischio strumentalizzazioni
«Bella Ciao è un manifesto di libertà. Celebra il 25 aprile, la Liberazione, una festa nazionale che il gesto del prete del Duomo disconosce. Bella Ciao è una canzone popolare e non un inno politico. Bella Ciao appartiene agli italiani e non a un partito».
Floriana Rizzetto, la presidentessa dell’Anpi, è principalmente addolorata. L’indignazione viene dopo: «Questo equivoco» continua «spero non voluto da parte del sacerdote, può essere un gesto provocatorio, alla stregua di sindaci che hanno abbandonato un evento istituzionale perché si cantava la musica della resistenza. Voglio sottolineare con forza che in Bella Ciao non ci sono riferimenti politici e che sminuire la lotta partigiana significa sminuire la Liberazione che ha salvato tutti da una sanguinaria dittatura, quella del nazi-fascismo. Per questo le parole di don Gianandrea – “Né nero, né rosso” – sono ancora più gravi: ha così deciso che Bella Ciao è una canzone “rossa”, ripetendo un paradigma divisivo, mentre il 25 aprile è una giornata che celebra il Paese e non la sinistra. Dunque l’intervento è stato infelice e sprovveduto, strano per un sacerdote non più giovanissimo, conosciuto per la sua cultura».
Il ragionamento di Floriana Rizzetto va avanti, si allarga alla piazza: «Anche il contesto dell’intromissione è stato sbagliato: quel gruppo era stato ingaggiato dal Comune per dimostrare che ci si può divertire nel rispetto di tutti, cercando di superare le violenze dei giorni scorsi. È chiaro che il sagrato del Duomo è sotto la giurisdizione della Chiesa, ma è anche una piazza della città dove il religioso ha scelto di alzare la voce. Mi sorge spontanea una domanda: preferiva forse le risse e le intemperanze a Bella Ciao? Quel concerto voleva sancire la libertà dello stare assieme rispettosamente, anche in direzione della zona bianca opportunamente condotta. La mia paura più recondita è che don Di Donna abbia dimostrato un dogma mentale e questo spaventa perché è un segnale di non conoscenza».
A gettare acqua sul fuoco ci prova don Giovanni Brusegan, delegato vescovile alla cultura e conosciuto per la straordinaria capacità di dialogare con il prossimo.
«Il sagrato del Duomo è un luogo adibito alla liturgia cattolica» esordisce don Brusegan «concesso dal vescovo Claudio Cipolla per dimostrare la sua disponibilità a collaborare con la città e il Comune, per un’animazione alternativa della piazza in cui sono accaduti fatti incresciosi. Proprio per questo spirito di collaborazione non si devono esibire spettacoli e arti varie in contrasto con lo spirito del luogo. Don Gianandrea è un prete a tutto tondo, di cultura e dialogo, conoscitore della musica sacra e dei modelli di linguaggio, dunque adeguato a fare delle valutazioni. Bella Ciao è un canto partigiano, non politico, con contenuti commoventi, che narrano l’impegno italiano contro ogni dittatura, in specie quella nazi-fascista. Tuttavia, oltre ai valori di libertà e sacrificio, è un canto fraintendibile. In questo momento storico, per quel luogo particolare, era bene non ci fossero riferimenti manipolabili, riconducibili a parti divisorie. Don Gianandrea non è intervenuto con intenzioni strategiche, non ha negato valori, ha voluto impedire che il Duomo passasse dagli scontri tra bulli a quelli tra parti politiche. Ha cercato un orizzonte più alto affinché il sagrato sia un luogo di pace e dialogo e non di muri ideologici e scontri. Più del messaggio vale il meta-messaggio: il sagrato deve rimanere Chiesa e luogo sacro, deve essere un luogo d’incontro e dialogo costruttivo e don Gianandrea ha voluto difendere lo spirito del luogo, dimostrando premura e togliendo fraintendimenti di carattere manipolatorio». —
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