Mobilità bloccata, infermiere “prigioniere”

Poco organico, l’ospedale costretto a negare i rientri nella città d’origine. Cisl: intervenga la Regione

L’80% del personale sanitario che lavora in Azienda Ospedaliera e all’Usl 16 risiede fuori città. Un esercito di pendolari che ogni giorno parte dal Vicentino, dal Rodigino o dal Veneziano per arrivare in tempo in corsia. Solo dal Comune di Chioggia, provengono un centinaio di lavoratori tra infermieri e operatori socio sanitari. Ma c’è anche chi arriva da più distante: decine e decine di dipendenti da ogni Regione d’Italia scappati dalla disoccupazione. Per gran parte di loro un concorso di mobilità verso casa rappresenta un’occasione imperdibile. Eppure le loro domande vengono bloccate. Sono “prigionieri” delle aziende sanitarie che non li lasciano andare via a causa della carenza di personale nei reparti ospedalieri. A dare l’allarme è la Cisl Fp di Padova: «Le dimensioni del fenomeno si fanno sempre più preoccupanti», spiega Emiliano Bedon. «Negli ultimi mesi abbiamo ricevuto diverse segnalazioni di dipendenti, la maggior parte donne, che cercando di avvicinarsi al proprio domicilio, si sono viste negare una giusta aspettativa di armonizzare i tempi di lavoro, personali e di famiglia». Il 70% del comparto è composto da donne. Come P.M. 27 anni, infermiera in un reparto di Chirurgia dell’Azienda Ospedaliera, che per assicurarsi uno stipendio sicuro nel 2012 ha dovuto lasciare la sua casa in Umbria, alla volta di Padova. «Da circa quattro anni lavoro qui, pago quasi 600 euro di affitto senza contare le spese che accumulo per i viaggi. Infatti appena posso vado a trovare mio marito e i miei anziani genitori che vivono in Umbria. Da qualche tempo le condizioni di salute di mia madre si sono aggravate, vorrei starle accanto ma così non è possibile», dichiara la donna. «Per avvicinarmi a casa, ho tentato di partecipare ad un bando per un posto nella regione Marche ma l’Azienda ospedaliera non ha dato il nulla osta preventivo, quindi non ho nemmeno potuto far domanda. Il motivo del rifiuto? Problemi organizzativi. Ora sono caduta in depressione, la sofferenza mi sta portando al licenziamento volontario». Ma la giovane infermiera non è l’unica a trovarsi in questa situazione. «Una mia collega, anche lei umbra, ha una figlia di cinque anni che vive lì ed è costretta a farsi quattro ore di strada ogni settimana per tornare nella casa di famiglia». Tutto è iniziato dall’agosto scorso quando la legge in materia è stata modificata: prima bastava solo il nulla osta dell’amministrazione ricevente, adesso è necessario anche il nulla osta dell’azienda cedente. «Comprendiamo i problemi delle Aziende sanitarie, spesso costrette a rigettare le richieste perché l’autorizzazione regionale alla sostituzione viene concessa solo quando il dipendente se ne va. E per le nuove autorizzazioni ci vogliono mesi. Questo provoca una grave carenza all’interno degli organici delle Unità operative, spesso già in difficoltà», specifica Fabio Turato. La Cisl si appella quindi alla Regione. «Chiediamo che in caso di mobilità volontaria, la copertura del posto sia concessa a breve termine». Intanto sia l’Ulss 16 che l’Ulss 15 hanno aperto due bandi in entrata per operatore socio sanitario.

Elisa Fais

Argomenti:sanità

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