Pasquato: «Voglio questa promozione E con la quarantena riscopro la famiglia»

L’attaccante del Campodarsego ripensa a un anno strano «Mi volevano nei prof, ma sono felice della mia scelta»

Stefano Edel / VIGONZA

Cristian Pasquato, un anno fa lei era in Polonia, spettatore perché non giocava nel Legia Varsavia. Svincolatosi a fine stagione e rientrato in Italia, ha scelto Campodarsego, i dilettanti della Serie D, per ripartire. Tutto bene sino all'infortunio e poi il... virus. Si sarebbe immaginato un simile stravolgimento di vita in 12 mesi?

«Assolutamente no, anche perché quei sei mesi trascorsi in Polonia stando ai margini della squadra, dopo 3 anni in cui ero lontano dall'Italia, non mi hanno assolutamente giovato, intendo nel trovare un'altra squadra. L'estate scorsa il “Campo” mi ha dato, invece, la possibilità di allenarmi, anche se non mi nascondevo l'idea che fosse un qualcosa di passaggio. Nei mesi successivi, non essendo approdato a nulla, ho accettato la proposta di tesserarmi con i biancorossi, a due passi da casa. E sono contento di averlo fatto, anche se ci siamo fermati a 11 partite dalla fine del campionato».

Torniamo per un momento ad agosto-settembre 2019. C'erano state delle offerte?

«Sì, dal Trapani. L'ex diesse Raffaele Rubino mi aveva fatto una corte serrata, ma non me la sono sentita. Era una situazione a rischio, e poi lo stesso direttore è stato mandato via. Quindi si era fatta avanti la Reggiana, sembrava tutto definito, ma il giorno prima dell'ipotetico ritrovo mi dissero che preferivano aspettare. Non era più il caso di attendere e così mi sono rimesso in gioco con un gruppo fantastico come quello in cui mi trovo».

Si può parlare adesso di una terza vita professionale, dopo gli anni giovanili alla Juventus e dopo un lungo peregrinare fra Serie A, Serie B e le esperienze in Russia e, appunto, Polonia?

«L'aspetto che mi fa più piacere è sentirmi importante all'interno di un collettivo, quello che sono sempre stato nella Primavera della Juve, poi a Modena e Pescara, e che vale pure oggi, essere di esempio ai compagni. Non parlerei, però, di terza vita, quella la toccherò con mano quando chiuderò con il calcio giocato. Ma al momento non ci penso».

Il coronavirus vi ha bloccati quando eravate lanciati verso la Serie C. Che cosa si augura per il futuro?

«Dal punto di vista fisico di essere pronto per quando si ricomincerà. Sempreché si riparta. Mi sono fatto male a Porto Tolle tre mesi fa esatti (il 15 gennaio, ndr), primo serio guaio muscolare in carriera (uno “strappo” al flessore della gamba destra, ndr), e non vedo l'ora di ripartire. In senso generale, vorrei poter finire il campionato e vincerlo, così nessuno avrebbe da ridire nulla. Non credo si possa congelare o annullare quanto fatto sin qui, e ricominciare da settembre con un altro torneo. Ma se si dovesse optare per tale soluzione, una decisione andrebbe presa comunque prima per promozioni e retrocessioni. Certo, non sarei contento di essere promosso senza il conforto dei risultati del campo».

Che cosa le ha fatto riscoprire la segregazione forzata imposta dalla pandemia?

«Innanzitutto il rapporto con i figli, Leonardo, 8 anni, e Ginevra, 4. Stanno vivendo questa situazione come un gioco, oltretutto sono contenti di non andare a scuola. Con il maschietto gioco a playstation, con la piccola alle bambole. E poi c'è il rapporto con mia moglie Giulia. Siamo insieme dal 2007 e sposati dal 2012. Per tre anni sono stato lontano da lei, impegnato all'estero, adesso la vedo tutti i giorni. Una piacevole... esperienza». —

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