«Quando a Venezia portammo un leone vivo»
PADOVA. Semplice, come portare un leone allo stadio. Un leone vero, eh!, di quelli che ruggiscono. Mica uno di pezza. Semplice come andare in trasferta e passeggiare lungo Riva degli Schiavoni in direzione del Sant'Elena con un leone, che indossa la maglia del Padova, in spalla. Semplice, come poteva essere trent'anni fa: 1982. Semplice, come dimostra questa foto pubblicata e come la racconta Giuliano Gobbo, 66 anni, agente di commercio in pensione, anima e “core” de I Ruspanti, uno dei club più goliardici degli anni Ottanta fondato quartiere e di cui oggi restano vivi solo i ricordi e un gruppo di trenta inossidabili che “se piove o nevega, o tira vento, i va sempre vèdare sto gran squadron”.
«Ricordo ancora con piacere quella trasferta», sorride Gobbo, «tutto è nato quasi per gioco. Era arrivato un circo a Padova, se non ricordo male il circo Embell Riva. Andammo a chiedere se potevamo portare un leone allo stadio. Ci dissero di sì. Se accompagnato. Quello che lo ha in braccio, nella foto, è il domatore. Che venne con noi in trasferta. Quante risate. Anche perché c'eravamo messi d'accordo con i tifosi del Venezia. Loro avrebbero portato allo stadio una gallina con la maglia neroverde. Non vi dico quando il leone ha visto la gallina. Ha fatto il disastro».
Un leone allo stadio. Tifo d'altri tempi. Come minimo oggigiorno il leone avrebbe qualche problema a passare indenne (si fa per dire...) i controlli di polizia e i tornelli. Senza contare che non potrebbe avere la tessera del tifoso per andare in trasferta. E non per una questione di volontà. Trent'anni fa, invece, era tutto più semplice. Semplice come portare un leone allo stadio, appunto.
«La maglia che indossava il leone era quella di Cina Pezzato» continua Gobbo. «Ricordo che una volta allo stadio cominciò a piovere. Il domatore ci disse che il leone non poteva bagnarsi. Così chiedemmo al magazziniere del Venezia di chiuderlo in uno sgabuzzino. Al termine dell'incontro, quando lo andammo a riprendere aveva distrutto tutto. Il magazziniere si arrabbiò tantissimo. Ma se la incartò».
Gobbo, trent'anni dopo, non ha perso la voglia di ridere. E di andare allo stadio. Sebbene... «Cestaro che fa e disfa» aggiunge Gobbo « e purtroppo non c'è più rispetto per i tifosi. Una volta contavamo qualcosa. Solo il nostro club aveva 500 iscritti. La società ci ascoltava. Ora, solo silenzio. Vende? Comprano? Mi pare tutta una farsa. E questo è un peccato. Perché basterebbe un po' di seria programmazione per portare migliaia di persone allo stadio. Da sempre è la squadra che fa il tifoso. Non viceversa».
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