Il Friuli ricorda la tragedia: 49 anni fa il terremoto che causò quasi mille vittime
Il sisma di magnitudo 6,4 del 6 maggio 1976 colpì in particolare la media valle del Fiume Tagliamento, danneggiando gravemente oltre cento paesi nelle Province di Udine e Pordenone

Alle 21 del 6 maggio 1976, cinquantanove tragici secondi cambiarono per sempre il volto del Friuli: una scossa di magnitudo 6.4 della scala Richter devastò la fascia collinare a nord di Udine: Gemona, Venzone, Osoppo, Majano e decine di altri comuni furono gravemente colpiti. Quasi mille le vittime, oltre 3.000 i feriti, più di un centinaio i paesi danneggiati tra le province di Udine e Pordenone. La sola Gemona, completamente distrutta, contò 400 morti.
Alla prima scossa seguirono centinaia di repliche, tra cui quella del 15 settembre, di magnitudo 5.9, che colpì nuovamente un territorio già provato, provocando ulteriori devastazioni.

A 49 anni di distanza, il ricordo dell'Orcolat - orco, in lingua friulana, essere mostruoso che la tradizione popolare locale indica come causa dei terremoti - resta vivo e centrale nella memoria collettiva.
La memoria
Il Friuli che rialzava la testa era quello dei nostri nonni e dei nostri padri, avevano visto la guerra e conosciuto la fame e la miseria. Le scosse devastarono una terra, uccisero mille friulani, dimezzarono famiglie, misero alla prova l’economia.

Fu una catastrofe che innescò la volontà di rovesciare quell’immane tragedia e di ricominciare a mettere insieme i pezzi di un mosaico impazzito, uno ad uno, come fecero gli esperti quando ricostruirono per anastilosi con le pietre numerate il duomo di Venzone.
Il modello Friuli
Così la ricostruzione fu battezzata il “modello Friuli” ed esibita con orgoglio in Italia e nel mondo. La politica (con la Regione, i sindaci, i parlamentari di allora), l’economia (con i grandi capitani d’industria e le migliaia di piccoli imprenditori che questa terra contribuirono ad arricchire), la chiesa (con i suoi leader in prima linea senza paure di essere etichettati), quella che viene definita la società civile in tutte le sue forme avviarono la rinascita accelerando la spinta alla più grande fase di modernizzazione del Friuli.
Il debito di riconoscenza verso chi allora ci fu e si diede da fare non sarà mai sufficiente perché da lì, dai nomi di quei politici, di quegli imprenditori e di quei preti si riscrisse la storia di una terra che pochi conoscevano; l’attenzione venne anche dall’estero, dal mondo che ci offriva la mano, anche se da queste parti facevamo orgogliosamente “di bessoi”.

Ma il Friuli non ha mai dimenticato nemmeno la straordinaria ondata di solidarietà arrivata da tutta Italia e dall'estero nei momenti più difficili. È anche grazie a questo spirito corale, animato da sindaci e parroci, che la ricostruzione poté iniziare, sotto la guida del commissario straordinario Giuseppe Zamberletti, figura chiave di quella stagione, che proprio da quell'esperienza pose le basi per l'avvio della Protezione Civile italiana.
Il modello Friuli
Il processo di rinascita fu esemplare: il cosiddetto "modello Friuli", costruito su una forte partecipazione delle comunità locali, riuscì a coniugare rispetto per la memoria e slancio verso la modernità.
Per ricordare quella stagione di dolore e riscatto, una mostra a Venzone - epicentro simbolico della tragedia - intitolata "Passato/Presente" raccoglie voci, immagini e testimonianze dell'epoca e di oggi. Un ponte tra generazioni, spiegano gli organizzatori, "per non dimenticare e per continuare a costruire".
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