Albignasego, a 14 anni si è spenta Elisabetta

Da tre era iniziato il suo calvario, affetta da un raro angiosarcoma 
 
DORO-FOTOPIRAN-ALBIGNASEGO-ELISABETTA BAZO
DORO-FOTOPIRAN-ALBIGNASEGO-ELISABETTA BAZO

ALBIGNASEGO. «Esempio di rara eleganza, raffinatezza e determinazione»: con questa frase che la descrive appieno i genitori e il fratello di Elisabetta Bazo hanno deciso di salutarla sull’epigrafe tutta rosa che ne annuncia il funerale.

Come sfondo c’è uno dei suoi innumerevoli disegni, nel quale aveva scritto «Essere diversi non è un difetto, è una virtù».

Elisabetta Bazo è deceduta martedì: aveva solo 14 anni e un calvario di tre sulle spalle, da quando aveva scoperto di essere affetta da una rara e aggressiva forma di tumore, l’angiosarcoma.

Ma aver affrontato la malattia l’aveva resa molto matura e consapevole: e aveva messo in luce la sua caparbia volontà di vivere e il suo ottimismo.

«Spesso era lei che ci dava la forza e il coraggio» racconta il padre Fabio «e le bastava una giornata di sole per farle tornare il sorriso. Si sentiva diversa, per gli sguardi che le lanciavano per strada le persone che ne notavano l’assenza dei capelli o per gli amici che si erano progressivamente allontanati, non rifuggendo tanto lei quanto la paura del dolore. Ma finché la malattia gliel’ha concesso, ha frequentato la scuola, che le piaceva moltissimo: dopo le medie aveva scelto l’istituto Ruzza, dove avrebbe potuto esprimere al meglio tutta la sua grandissima e incontenibile creatività».

Dalla mamma Sabrina Galiazzo, acquarellista, Elisabetta aveva ereditato l’amore per il disegno (in casa i suoi lavori sono appesi anche sui vetri delle finestre), ma in realtà ogni forma di manualità creativa la coinvolgeva: realizzava pupazzi, dipingeva le unghie (in ospedale le infermiere la conoscevano bene per le decorazioni che creava con la nail art), costruiva oggetti da vendere nei mercatini di beneficenza.

«Era un furetto sempre in movimento», continua papà Fabio. «Prima di ammalarsi era un’atleta promettente della ginnastica artistica (tre anni fa era arrivata terza ai campionati nazionali con la sua squadra della Olas Albignasego). Con la malattia, invece, aveva incanalato la sua vitalità nel realizzare oggetti e disegni con le proprie mani. Adorava la scienza e la natura, in particolar modo gli animali: quando portammo a casa il cagnolino, gli disegnò immediatamente il cappottino, che realizzò poi con le sue mani».

Intervallati a momenti di spensieratezza ci sono stati però anche tanti giorni di dolore, 180 dei quali trascorsi ricoverata in numerosi reparti ospedalieri: amorevolmente coccolata, oltre che curata, dai medici della Pediatria di Padova, che hanno coinvolto anche lo Iov (è stata la prima minore a venire trattata con terapie cui di solito vengono sottoposti gli adulti) pur di trovare una cura, che purtroppo, però, non è mai arrivata. «Come tutti i bambini e i ragazzi che attraversano la malattia» conclude il padre «Elisabetta aveva capito e ci ha lasciato un grande insegnamento: se un giorno è buono, bisogna viverlo e approfittarne in pieno». L’ultimo saluto alla piccola Elisabetta è stato fissato per sabato alle 11, nella chiesa di San Lorenzo ad Albignasego. –

 

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