All’ospedale di Schiavonia le voci delle prime linee E ora i positivi aumentano

monselice
«Il 21 febbraio questo ospedale diventava un luogo di frontiera. Il 21 febbraio crollava la nostra onnipotenza». Domenico Scibetta, commissario dell’Usl 6 Euganea, scongiura ogni tono celebrativo: l’emergenza è tutt’altro che finita e lo conferma il titolo che si è voluto dare all’evento. “Io c’ero, io ci sono”. Passato e presente. Ed è proprio dal presente che è giusto partire.
Ieri nel Padovano si sono registrati 252 nuovi contagi, a fronte di sole 42 persone che si sono negativizzate. Quasi a far beffa all’anniversario di pandemia, ieri i positivi padovani sono ritornati, dopo parecchi giorni, oltre i 5 mila: 5.045 per la precisione. Se le ricorrenze servono a tracciare un bilancio, quello di oggi non parla certamente di emergenza finita. I ricoveri sono scesi - da 287 a 281 - ma le Terapie intensive sono cresciute, da 30 a 31. E i morti non sono mancati: 3 in un giorno. A Schiavonia ieri i pazienti con Covid-19 erano 64, di cui 8 in intensiva. Da questo numero è doveroso fare un salto indietro, a quel 21 febbraio 2020 in cui proprio questo ospedale ha conosciuto i primi due contagi e la prima vittima del Veneto. Millecinquecento pazienti fa.
L’Usl 6 ha voluto celebrare l’anno di pandemia proprio al “Madre Teresa”, dove tutto ebbe inizio. “Io c’ero, io ci sono”, l’evento organizzato in occasione dell’anniversario, ha occupato per tutta la mattina la grande hall dell’ospedale. Poche presenze, perché da mesi gli ingressi al “Madre Teresa” sono centellinati. Hanno parlato autorità e istituzioni, e hanno parlato soprattutto medici e infermieri che per un anno hanno combattuto il virus in questo che è da subito diventato Covid Hospital. «Non siamo qui a vivere una giornata celebrativa, ma a condividere delle emozioni» ha spiegato Scibetta «Qui ha avuto inizio qualcosa di incredibile, impensabile, inaudito. Incredibili sono state le decisioni che ci siamo trovati a prendere: chiudere tutto, sigillare, contenere. Ma ci sono altri due aggettivi da ricordare: sbalorditivo e straordinario. Tali sono state dedizione, responsabilità e competenza dei nostri professionisti. Abbiamo fatto dello straordinario la norma». Scibetta non ha voluto offrire facili entusiasmi, e in molti racconti l’ombra di una terza ondata o comunque il peso ancora forte di quella attuale non sono mancati. Ha sottolineato Scibetta: «La normalità non ci sarà mai più. Ma torneremo a una vita in cui dovremo ricostruire le relazioni umane. Certi valori non andranno persi».
Accompagnate dalle note del “pianista fuori posto” Paolo Zanarella, quasi venti voci si sono alternate nel raccontare quel 21 febbraio e questo anno di emergenza così denso di emozioni. Un leggio, un microfono, una manciata di minuti a testa. Dai direttori ospedalieri Alberto Rigo e Domenico Montemurro ai primari Lucia Leone, Fabio Baratto, Roberta Volpin e Giampaolo Pasquetto. E poi il coordinatore del corso di laurea in Infermieristica, Luciano Liziero, la caposala del reparto Covid Morena Piovan. E ancora, Serena Masiero del Laboratorio analisi, l’addetta alla mensa Anna Recchia, l’ostetrica Francesca Fabbris e l’oss Gloria Scarparo. E poi il cappellano don Marco Galante, il responsabile della Protezione civile Federico Facco e il colonnello dell’Arma Luigi Manzini. Seduto nella grande hall c’era anche Graziano Ruzza, il primo guarito dalla Terapia intensiva di Schiavonia, sinceramente grato a medici e infermieri dell’ospedale ma anche emotivamente toccato dal ritornare in quella struttura ancora alle prese con la pandemia. Vanessa Trevisan, figlia della prima vittima di Schiavonia, Adriano Trevisan di Vo’, ha invece indirizzato una lettera ai tanti professionisti del “Madre Teresa”: «Ricordiamo la sensibilità, riservata soprattutto a mia mamma, da parte del personale medico del reparto di Rianimazione. Ricordiamo le emozioni, le paure, le domande, i dubbi condivisi con loro. Ricordiamo la loro cortesia nel chiederci come stavamo e persino la premura nel dividere con noi la loro colazione. Ora non siamo lì con voi fisicamente ma è come se lo fossimo, quell’ospedale per noi è un luogo del cuore». Mancano tra i relatori i sindacati, che condannano l’esclusione: la Uil con una nota ufficiale, la Cisl con un sit-in nel pomeriggio fuori dall’ospedale.
Non ci sono solo le delicate note di Zanarella ad impreziosire la giornata. L’evento di ieri si è infatti concluso con l’inaugurazione di un’opera d’arte che Carmen Cassighi, artista montagnanese, ha voluto donare al “Madre Teresa”. “Italia abbraccia i suoi figli 2020” (nella foto a destra) rappresenta una donna - la nostra nazione - che accoglie tra le braccia un’operatrice sanitaria stremata. Sono stati gli stessi primari a svelare il quadro, che rimarrà esposto stabilmente all’ingresso dell’ospedale. Un lungo applauso accoglie l’opera, ringrazia i tanti che si sono spesi per l’emergenza e riscalda il “Madre Teresa”, l’ospedale dove tutto ebbe inizio. Un anno fa. —
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