Azienda chiusa per mafia nel Padovano, parla la famiglia

MEGLIADINO SAN VITALE. «Mio marito si è fatto 12 anni di galera, ha collaborato con la Giustizia, è volutamente uscito dal programma di difesa dei testimoni. Un mese dopo che mio marito ha cominciato a collaborare, mi hanno ammazzato un fratello di 24 anni e il padre. Abbiamo cambiato 12 case girando per mezza Italia, abbiamo abbandonato le nostre famiglie in Sicilia. Ora ci tolgono anche il lavoro. Cosa dobbiamo fare per vivere in tranquillità?». Provvidenza è moglie di Giuseppe La Rosa e con lui vive a Megliadino San Vitale, assieme a figlio e figlia di 29 e 24 anni.
Due aziende che fanno o hanno fatto riferimento a La Rosa hanno ricevuto una doppia interdittiva antimafia dalle Procure di Verona e di Padova, la Commercial Company di Legnago e la RM di Megliadino San Vitale.
«Giuseppe ha già pagato il conto e grazie a lui molte persone sono state punite. Io stessa ho perso un fratello e un padre, ammazzati mentre andavano a lavoro. Ora che non serviamo più, siamo ritornati ad essere etichettati come mafiosi?» è lo sfogo della donna.
«Fino a un mese fa eravamo tranquilli e così siamo stati per 13 anni qui a San Vitale. Ci eravamo costruiti una vita senza la necessità di raccontare il nostro passato. Poi ci hanno sbattuti sui giornali come fossimo dei boss mafiosi. Ora la gente ci guarda male e sparla di noi, solo sulla base di queste notizie che non hanno supporti reali. Vado a far la spesa e mi appellano come “la moglie del boss”. Macché boss e boss, non sanno nemmeno cosa sia un boss mafioso. Mio marito non lo è mai stato e se ha fatto degli errori ha già pagato».
Provvidenza ricorda come, in passato, al minimo rischio che l’identità del marito fosse svelata, il programma di protezione testimoni faceva sì che la famiglia La Rosa dovesse spostarsi: «E ora, senza problemi, i nostri nomi e le nostre storie vengono diffusi così. E se qualcuno volesse ancora farcela pagare? E’ questa la tutela che ci meritiamo?».
Rossana, figlia di Giuseppe, assicura: «La R.M., società di logistica e trasporti creata da mio padre, è intestata a me e mio cugino Michele Lo Greco. L’altro ieri è stato oggetto di un’interdittiva della Procura perché c’è il sentore che l’azienda sia gestita da mio padre e che mio padre abbia ancora legami con la mafia. Mio papà l’ha avviata, è vero, e l’ha girata a noi per permetterci di lavorare e costruirci un futuro. Ovvio che c’è lui dietro, ma è normale che un padre che ha esperienza sia sempre alle spalle dei propri figli. Io so solo che lui non ha più contatti con la mafia e che la nostra azienda è pulita. Io non so minimamente cosa sia la mafia. Con questa interdittiva ora siamo destinati a perdere commissioni ed entrate. Cosa farò io? Come potrò lavorare ancora? Chi accetterà di lavorare con una ditta per cui basta una ricerca su internet e viene associata alla mafia? E cosa faranno i 12 dipendenti che vivevano grazie alla R.M.?».
E sul giro di società e aziende legate a La Rosa, create, indebitate, chiuse o vendute nel giro di pochi anni: «Non c’è nessuna strategia mafiosa dietro e non abbiamo mai lasciato debiti in giro. Le società si aprono, si chiudono e si vendono in base a cosa decide il mercato e così è stato anche per tutte le realtà economiche legate a mio padre. Ora che lo Stato ci ha messo in ginocchio, che venga a trovarmi un lavoro», chiude la figlia di La Rosa.
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