Birolo chiude la sua tabaccheria «Ora ho bisogno di tranquillità»

CORREZZOLA. Chiudere definitivamente un capitolo della propria vita per scrivere una nuova pagina, cercando di lasciarsi alle spalle, per quanto possibile, il passato. Sono diventate troppo anguste...
CORREZZOLA. Chiudere definitivamente un capitolo della propria vita per scrivere una nuova pagina, cercando di lasciarsi alle spalle, per quanto possibile, il passato. Sono diventate troppo anguste quelle quattro mura che, da rifugio nei momenti più complicati, si sono lentamente trasformate in una prigione per l’anima. Meglio l’aria aperta, dove l’orizzonte è segnato solo dalla linea che separa la terra dal cielo. Franco Birolo ha deciso di abbassare le serrande della sua tabaccheria di via San Donato a Civè per dedicarsi ai propri cari e alla cura della manciata di terreni di famiglia. La sua vita è cambiata nella notte tra il 25 e il 26 aprile del 2012 quando quattro persone, durante la notte, fecero incursione nel negozio mentre lui, con moglie e figlia, dormiva al piano superiore. Scese, pistola in mano, a controllare e nella colluttazione partì un colpo che ferì a morte un moldavo di vent’anni. Condannato a oltre due anni di carcere per eccesso colposo di legittima difesa al primo grado di giudizio (con tanto di risarcimento a favore dei familiari del ladro ucciso), Birolo a marzo di quest’anno è stato poi definitivamente assolto dalla terza sezione della Corte d’appello di Venezia. Un iter giudiziario per lui estenuante come per la famiglia che gli è sempre stata accanto. «Quella di chiudere» spiega Franco Birolo, che oggi ha 51 anni, «è una scelta, condivisa con la famiglia, che maturavo però da tempo. Ho però prima aspettato che la vicenda si chiudesse positivamente e che arrivasse il momento giusto dopo un lungo calvario. In questi pochi metri quadrati quotidianamente ritorno inevitabilmente con il pensiero a quei momenti. Ora ho bisogno di stare vicino alla mia famiglia e ai miei genitori anziani e di cercare di ritrovare un po’di tranquillità». La data di chiusura non è ancora stata fissata ma il cartello “svuoto tutto” affisso al bancone chiarisce che indietro non si torna. Questione di pochi mesi in ogni caso. «La mia intenzione» continua «è di cedere la licenza ma non i locali. Se qualcuno vorrà rilevarla, dovrà trovarsi un posto nuovo. Continuerò a vivere al piano superiore e non voglio più correre rischi».


Si può ricominciare una nuova vita? «Ci si deve provare» risponde quasi sollevato «e non ci deve abbattere. Mi occuperò dei campi di famiglia, dell’orto e degli animali da cortile. L’aspetto economico in questo momento non mi interessa e passa decisamente in secondo piano». Se potesse tornare indietro? «Difenderei ancora la mia famiglia» afferma convinto «ma non dovrebbe morire nessuno». Ripercorrendo la sua vicenda Birolo non può nascondere ora la sua amarezza nei confronti del sistema giudiziario. «Non tutela» dice «le vittime dei reati e non sta dalla parte dei giusti che paradossalmente non partono, in caso di processo, allo stesso livello di chi commette il reato». Sebbene il suo percorso personale si sia concluso non smetterà di fare sentire la sua voce. «Continuerò a sostenere» conclude «associazioni come l’Osservatorio nazionale sostegno vittime e l’Unavi che si battono per la tutela delle vittime di reati violenti intenzionali e riunisce i parenti di chi ha subito violenza». «La chiusura di un’attività di questo tipo» commenta, il sindaco Mauro Fecchio, passato a fare visita a Birolo «per realtà piccole e periferiche come le nostre è una grande perdita anche per la funzione sociale e aggregativa che svolge».


Alessandro Cesarato


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