Cadoneghe, uccide la moglie con tre coltellate. Il pm: «Merita l’ergastolo»
Il “fine pena mai” giustificato dall’aver tradito la fiducia della coniuge. Per le parti civili c’è stata premeditazione

L’ha uccisa. E in più, con quel gesto assassino, ha tradito la sua fiducia di moglie, decisa ad abbandonare l’idea di una separazione per il bene della famiglia: ecco perché il 41enne marocchino Abdfelfettah Jennati merita l’ergastolo per il reato di omicidio aggravato dal rapporto coniugale.
È la conclusione del pm Marco Brusegan a conclusione della requisitoria pronunciata ieri davanti alla Corte d’assise di Padova. Corte (presieduta dal giudice Mariella Fino affiancata dalla collega Sara Catani e da sei giurati popolari), chiamata a giudicare l’imputato accusato dell’assassinio della 31enne Aycha El Aboui, madre dei loro tre figli.
Mercoledì penultina udienza alla quale ha partecipato l’imputato; il prossimo 5 ottobre di nuovo in aula: toccherà all’ultima parte civile (l’avvocato Daniela Ghezzo) e alla difesa affidata agli avvocati Fabio Targa ed Elisabella Costa. Poi i giudici si ritireranno in camera di consiglio, probabilmente nella stessa giornata, per la sentenza.
La pubblica accusa
Omicidio volontario aggravato dalla relazione coniugale il reato per il quale il pm ha chiesto il “fine pena mai”, escludendo l’aggravante della premeditazione che, tuttavia, risulta contestata nel capo d’imputazione. Una premeditazione di cui ci sono tracce – ha rilevato – anche se mancherebbe (a suo giudizio) la prova oltre ogni ragionevole dubbio, richiamandosi alla valutazione del perito psichiatra (il dottor Alessandro Saullo, dirigente medico del Centro di igiene mentale goriziano dell’Alto Isontino), incaricato di valutare la capacità di intendere e di volere di Jennati. L’esperto, comunque, aveva confermato la piena capacità di intendere e di volere dell’imputato che aveva sempre sostenuto di aver problemi psichiatrici e di sentire “voci”. Al contrario il medico ha evidenziato «diversi elementi indicativi di possibile o probabile simulazione di patologia....».
Tre coltellate al petto inferte mentre la vittima dormiva: il pm ha osservato che Jennati aveva messo così tanta energia in quel gesto mortale da trapassare il corpo della coniuge bucando il materasso del letto.
Quindi la chiamata ai carabinieri intorno alle 23.40 di quel tragico 24 novembre 2020 («Ho ammazzato mia moglie, venite a prendermi»), per consegnarsi agli uomini dell’Arma nell’androne del condominio di Cadoneghe in via Piave 3 dove la coppia viveva.
Le parti civili
Ha insistito sulla premeditazione l’avvocato Massimo Schiavon, che tutela i tre figli rimasti orfani della madre (nati rispettivamente nel 2016, 2013 e 2011), sollecitando per loro un risarcimento di un milione e mezzo di euro. E ha messo sul piatto una serie di elementi. I parenti di Aycha avevano saputo dal figlio maggiore che, nei due giorni precedenti il delitto, Abdfelfettah Jennati aveva cercato di trasferire nella camera dei fratelli la figlioletta più piccola per evitare dormisse in un lettino accanto ai genitori. Senza esito: lei, in lacrime, tornava sempre da loro. Eppure Jennati non ha esitato a uccidere la moglie davanti agli occhi della bambina tanto che lei stessa aveva raccontato di aver visto il padre dare una “botta” alla mamma sul petto.
E nel suo linguaggio infantile aveva detto: «Mamma è morita». Il legale ha aggiunto: il figlio aveva riferito a nonna e zia che il padre aveva svolto alcune ricerche in Internet per capire la condanna prevista per chi uccide il coniuge, mentre dalle analisi del cellulare è emerso che l’uomo aveva cercato online informazioni relative a un traghetto per quattro possibili destinazioni (due estere) e a un negozio dove acquistare del veleno.
Ancora, appena due mesi prima dell’omicidio Jennati aveva minacciato la moglie: «Ti voglio infilare un coltello nella schiena mentre dormi», una frase che lei aveva riportato nella querela per maltrattamenti presentata il 5 ottobre 2020 nei confronti del marito e poi ritirata il 28 del mese. Un chiaro segno – secondo le parti civili – del progetto omicida. L’avvocato Martina Vorruso (per i fratelli di Aycha) ha sottolineato come Jennati non sarebbe stato messo a lavorare nella cucina del carcere dove è rinchiuso se, davvero, sentisse “voci” e fosse affetto da un vizio di mente. Il legale Aurora D’Agostino (costituita per il centro Veneto Progetti Donna Auser) ha chiesto un ristoro di 37 mila euro, di cui beneficerà una donna maltrattata con figli. —
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