Chung perfetto nella Messa da Requiem di Verdi
VENEZIA. La Messa da Requiem di Verdi è diventato un immenso classico sinfonico-vocale, accanto a pagine memorabili come il Requiem di Mozart o la Nona sinfonia di Beethoven, grande affresco di una spiritualità che Verdi ha saputo desumere dal teatro, dallo studio e dalla ricerca sulla parola. Un capolavoro che non è mai mancato a Venezia, dal 1951 anche nella cornice affascinante del cortile di Palazzo Ducale, che concentra l’attenzione sul suono, dove è ritornato venerdì scorso sotto la bacchetta di Myung-Whun Chung (nella foto). Vi mancava dal 1991 (alla Fenice dal 2005), quando l’aveva diretto l’allora direttore stabile croato Vjekoslav Sutej, scomparso nel 2009. Emozionante maestro di estrema profondità spirituale, Chung sta segnando tappe memorabili nelle esecuzioni dell’Orchestra della Fenice, soprattutto nelle letture verdiane, da Traviata a Rigoletto, Otello. Non perde mai di vista le proporzioni e le trasparenze della partitura, affronta con estrema precisione la grandiosità drammatica di Verdi così come i toni più pacati e intimi. Anche le pagine più tempestose, come il celeberrimo Dies Irae, riescono a conservare una sorta di superiore controllo emotivo, che inevitabilmente accede alle recondite inquietudini dell’animo mostrandone una dimensione sconvolgente. Il fraseggio è sempre curatissimo, le arcate liriche mai di circostanza, la routine non esiste in una superiore concentrazione che perfeziona la relazione con le voci, portate entro un tessuto sinfonico che non ne è mai suddito: il rapporto fra suono e parola rimane stupefacente. Chung impone una sua rigorosa visione del tempo, prepara ogni episodio, sceglie una metrica tesa e incalzante muovendosi al di là di una teatralità umana per guidarci in una sorta di inesorabile precipizio dove persino le isole di contemplazione appaiono come speranze destinate a rabbuiarsi. Il canto del coro, preparato da Claudio Marino Moretti, si distende come un’apparizione, fra bagliori di sillabe. Carmela Remigio (soprano) offre una pronuncia raccolta e sensibile; Daniela Barcellona (mezzosoprano) declama con eloquenza drammatica; Fabio Sartori (tenore) si muove con lirismo fra sfumate delicatezze; alcune incertezze nelle linee di Vitalij Kowaljow (basso). Successo caldissimo. “E se – come raccomanda Andras Schiff per certi capolavori – invece di applaudire, ci si alzasse in piedi in silenzio?”.
Mirko Schipilliti
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova