Devastati ettari di campi coltivati, ronde notturne degli agricoltori anti-cinghiali nella Bassa

Quattro imprenditori disperati: «Animalisti e Regione si confrontino per trovare subito la soluzione»
Giada Zandonà
L’agricoltore Antonio Peruzzi indica un campo dov’è passato un branco di cinghiali e le piantine delle coltivazioni, di solito mais, sono state decimate
L’agricoltore Antonio Peruzzi indica un campo dov’è passato un branco di cinghiali e le piantine delle coltivazioni, di solito mais, sono state decimate

OSPEDALETTO EUGANEO. «Cerchiamo un aiuto concreto: siamo i custodi dell’agricoltura ma il nostro lavoro è vanificato dai branchi di cinghiali che ogni notte distruggono le nostre coltivazioni». Questo il grido di aiuto di quattro agricoltori della Bassa che, nonostante tutte le soluzioni adottate, sono in balìa delle scorribande di centinaia di ungulati che saziano il loro instancabile appetito nelle coltivazioni di mais, di pomodori, grano e persino soia.

Trecento ettari di campi coltivati a pochi passi dal centro di Ospedaletto: ecco dove hanno trovato rifugio alcuni branchi di cinghiali che stanziano nel bosco “Le Vallette”, in un ex vivaio in abbandono in via Tigli e nei boschetti a ridosso di Sesa. Un problema cominciato cinque anni fa con l’arrivo di pochi animali.

«La situazione allora era sostenibile, ma da tre anni stiamo osservando un aumento esponenziale e incontenibile di questi animali che in centinaia di esemplari si riversano nei nostri campi», spiega l’agricoltore Antonio Peruzzi.  

«Abbiamo tentato con ogni mezzo l’allontanamento, ma sono intelligenti e dopo poco si abituano. Le ho pensate tutte, ma loro, oltre che la semina, sono riusciti a distruggermi psicologicamente. Hanno divelto 31 ettari su 60 coltivati a mais ed oggi sono già alla quinta risemina. Come si può andare avanti così?».

Dopo aver piazzato decine di radio attorno ai campi per spaventare gli animali con la musica, strumenti che devono essere accesi e spenti mattina e sera, dopo aver tentato con dissuasori acustici, luci abbaglianti e altre strategie, gli agricoltori hanno deciso di fare delle ronde notturne per tenere sotto controllo la situazione.

«Ogni notte, dalle 21 alle 6, ognuno parte con la sua jeep e cominciamo a fare il giro dei campi, spaventando i cinghiali con il clacson e con i fari», racconta Gianfranco Menesello, «ma questi animali sono furbi e appena giriamo l’angolo entrano lo stesso nei campi a far danni». I danneggiamenti sono palesi: piccole piantine estirpate a macchia di leopardo, decine di metri “arati” dai cinghiali, buche profonde che creano anche un pericolo per il passaggio dei mezzi agricoli.

«Siamo arrivati al punto di cambiare le coltivazioni, in modo da avere delle piante meno appetibili, ma niente, i cinghiali dopo un poco si adeguano e mangiano ciò che trovano», spiega Antonio Ramazzotto. Infatti, la maggior parte dei campi era coltivata a mais, varietà prelibata per i cinghiali e per questo gli agricoltori ora stanno seminando grano e altri cereali. «Non possiamo più piantare barbabietole e patate, prodotti che contengono zucchero e che in un attimo verrebbero distrutti. Ora sono arrivati a mangiare persino il grano e la soia, non sappiamo più cosa coltivare».

Le problematiche però non si fermano alla distruzione delle colture, gli animali infatti con il loro grufolare distruggono i sistemi di irrigazione a goccia e, dato che non hanno più paura dell’uomo, sono diventati un pericolo anche per gli agricoltori stessi.

«Non possiamo più mandare i lavoratori da soli a svolgere alcune mansioni nei campi perché questi animali sono presenti anche di giorno ed invece che scappare alla nostra vista, restano a guardarci e se hanno i cuccioli allora diventano minacciosi e pericolosi», continua Peruzzi.

«C’è anche un cinghiale ungherese nero, che abbiamo chiamato Rambo, enorme, mi arriva al petto, peserà 150 kg e non ha paura di nulla». Una “guerra” tra agricoltori ed un animale alloctono ed invasivo: «Anche il valore dei nostri terreni è sceso a causa dei cinghiali: secondo voi chi mai comprerebbe un campo alla mercé di questi animali?» spiega Anastasio Castegnaro.

Gli agricoltori si sentono abbandonati dalle istituzioni che non stanziano fondi per il contenimento degli animali e non risarciscono i danni. O quando accade sono importi troppo esigui. A questo si aggiunge il fatto che i campi, fuori dal perimetro del Parco Colli, dove il problema della proliferazione dei cinghiali viene per lo meno affrontato, non sono tutelati dalle istituzioni.

«Prima che sia troppo tardi e che il problema si espanda ancora chiediamo che venga ristabilito un equilibrio ambientale», spiega Peruzzi. «Vorremmo che le associazioni animaliste e la Regione Veneto facessero un tavolo di lavoro per proporre soluzioni concrete da attuare sin da subito».

Ogni mattina i quattro agricoltori, oltre ad affrontare i normali problemi legati all’attività agricola, perdono il sorriso a causa dei danni provocati dai cinghiali.

«Non bastano il clima impazzito, i problemi dei parassiti e la burocrazia: da anni fronteggiamo questa piaga causata dai cinghiali che è come un posto di blocco che non ci permette di svolgere il nostro lavoro. Io sono orgoglioso di seminare, raccogliere e produrre del cibo biologico, ma se le istituzioni non faranno qualcosa subito, tutto il lavoro di noi agricoltori andrà perduto per sempre ed i campi resteranno il regno incontrastato dei cinghiali», conclude Peruzzi mentre tiene in mano i brandelli di un germoglio di mais del suo campo. —


 

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