Dopo un anno di cure Melegatti è rinata: «Ora lo sbarco all’estero»

«Sappiamo che la strada sarà lunga e in salita. Ma abbiamo già fatto molti passi in avanti e raggiunto i primi obiettivi, tornando sugli scaffali. In cinque anni contiamo di riportare la Melegatti al fatturato di un tempo, attorno ai 70 milioni di euro», dice il presidente Giacomo Spezzapria. È trascorso un anno da quando, nel settembre del 2018, la casa del pandoro è passata dalla disperazione del fallimento alla speranza della rinascita. A raccogliere un’azienda in ginocchio è stata una famiglia veneta, gli Spezzapria appunto, che per 13,5 milioni, «e un investimento complessivo da 15 milioni», l’ha rilevata, rilanciandola. La liquidità, dopo la cessione della quota di controllo di Forgital – azienda di componentistica nell’aerospaziale valutata un miliardo dal fondo Carlyle – alla famiglia veneta non manca. E in futuro Giacomo Spezzapria, 34 anni, studi alla Bocconi, non esclude di allargare lo sguardo: «Costruire un polo dolciario? Perché no?», dice.
Che anno è stato per la nuova Melegatti?
«Un anno di ripartenza in cui siamo riusciti a rimettere in funzione le linee e a sfornare prodotti con la qualità di un tempo. Questo Natale è stato il primo vero banco di prova».
Come è andata?
«L’anno scorso avevamo messo in commercio poche centinaia di migliaia di pandori. Quasi un gesto simbolico per ringraziare chi ci era stato vicino e per far vedere che il prodotto c’era ancora. Quest’anno la produzione, proseguita da agosto fino alla prima settimana di dicembre, è stata di alcuni milioni di pezzi tra pandori e panettoni. Da gennaio cominceremo con le colombe».
Quanti dipendenti avete?
«Una cinquantina fissi e altri 150 stagionali. Abbiamo reintegrato circa l’80% del personale. Continueremo a creare occupazione».
Sono rimasti gli «angeli del lievito madre», che lo hanno “nutrito” anche quando ogni speranza sembrava perduta?
«Certo, sono ancora in azienda, sono due nostri collaboratori storici, parte integrante della ripartenza».
Anche grazie a loro tutti cercavano i vostri pandori.
«È vero, l’anno scorso si era creato un clima di solidarietà nei confronti dell’azienda. Ma ora solo noi possiamo favorire la fidelizzazione, continuando a puntare su qualità e innovazione. Un esempio? Il mercato guarda sempre più a prodotti artigianali e noi ci sposteremo anche verso linee con qualità paragonabile».
Riaprirete lo stabilimento di San Martino Buon Albergo?
«Stiamo valutando. Produceva croissant: un mercato diverso, molto competitivo, saturo. E con margini ridottissimi».
Campa l’azienda che produce solo dolci da ricorrenza?
«Difficile, a meno che non si facciano numeri alti che il mercato però non può assorbire».
Non pensate a diversificare?
«Sì, stiamo pensando a produzioni continuative. Ma vanno studiati i bisogni dei consumatori. Cerchiamo qualcosa di nuovo, non copie dell’esistente. E poi vogliamo espandere la vendita all’estero».
Dove?
«Si può avere successo soprattutto dove è forte la comunità italiana: penso a tutta l’Europa, ma anche all’America».
Ha mai pensato di creare, partendo da Melegatti, un polo alimentare?
«Credo che oggi, in Italia, per imporsi sul mercato servano dimensioni: la possibilità di creare un polo dolciario è qualcosa che può solo aiutare lo sviluppo aziendale. Adesso siamo concentrati sulla ripartenza. Ma in futuro se si presenteranno occasioni sensate per Melegatti per creare un gruppo con sinergie produttive o commerciali, le valuteremo».
Guardate solo ai dolci?
«Sono la prima opzione. Ma si può guardare anche a sinergie al di là della parte produttiva, ossia commerciali e organizzative, allargando a settori non prettamente dolciari. Oggi facciamo già sinergie con le tre aziende di famiglia attive in imballaggi».
Un tempo Melegatti fatturava 70 milioni. Qual è ora l’obiettivo?
«Tornare a quelle cifre e, se possibile, migliorarle. Contiamo di farlo nel giro di 5 anni. E questo risultato passa anche dall’espansione all’estero».
Un anno lei si è fatto avanti in solitaria. Qualcuno l’ha cercata in questi mesi?
«C’è molto interesse per il marchio. Ma noi crediamo nelle persone di Melegatti, il progetto è di lungo termine».
Magari un giorno finirete in Borsa. Cosa ne dice?
«No, siamo un’azienda familiare e tale rimarrà finché ci saremo noi». —
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