Espulso il fanatico marocchino che uccise la figlia "troppo occidentale"

Padova: scarcerato dopo soli nove anni di carcere, voleva restare in Italia ma la questura gli ha negato il permesso di soggiorno
OMICIDIO GRANTORTO BELLUCO
OMICIDIO GRANTORTO BELLUCO

SAN PIETRO IN GU (PADOVA). Espulso dall’Italia per il “contesto socio-culturale incompatibile con i principi fondanti della Repubblica italiana”. Mohamed Lhasni, 64 anni, marocchino, è stato imbarcato in un aereo e rispedito in Marocco.

Dodici anni dopo aver ucciso la figlia diciannovenne perché “troppo occidentale”. Ventiquattrore dopo la strage di Berlino. Si chiude così la parentesi italiana di quest’uomo giunto dal Marocco nel 1991 ma rimasto fedele fino all’ultimo ai dettami più rigidi della cultura musulmana.

È la storia di una famiglia a pezzi e che prima di frantumarsi ha subìto in silenzio. La sera del 25 settembre 2004 il tepore dell’estate se ne stava andando e l’umidità iniziava a rendere fastidioso il fresco della campagna.

A Grantorto Mohamed Lhasni stava per sedersi a tavola dove ad attenderlo c’erano la moglie, i tre figli maschi e l’unica femmina. Kaoutar aveva il cuore che batteva forte perché sapeva che quella sarebbe stata l’ultima cena con mamma e papà. In camera da letto c’era la sua valigia pronta.

Dopo anni di vessazioni e violenze subite dal padre-padrone aveva trovato la forza per dire “basta”. E, come spesso accade, quella forza era giunta grazie a un amore. Un amore appena sbocciato ma già così forte. Quello per Ibrahim, 21 anni, operaio in una fabbrica di filati di Grantorto.

foto Ferrari per Baron, Kaoutar Lhasni
foto Ferrari per Baron, Kaoutar Lhasni

Doveva solo stringere i denti, per l’ultima volta. Sapeva che l’addio sarebbe stato difficile e che suo padre si sarebbe opposto in tutti i modi. Non immaginava che quella casa così opprimente sarebbe diventata la sua tomba.

Mohamed Lhasni aveva già deciso chi sarebbe dovuto diventare marito della figlia. E non voleva sentire ragioni. Quando si è accorto della valigia pronta nella cameretta ha perso il controllo. L’ha aggredita come una furia. L’ha riempita di pugni e l’ha finita a bastonate tra le urla soffocate della moglie e dei fratellini. Nessuno ha avuto il coraggio di intervenire.

Infermieri e carabinieri, accorsi per quella che era stata catalogata dal 112 come una normale lite in famiglia, si sono trovati davanti il corpo esanime della diciannovenne. Indossava una t-shirt e un paio di jeans, abbigliamento divenuto il simbolo della sua ribellione. Ci è voluto poco per capire chi aveva stroncato quella giovane nel fiore della vita.

foto Ferrari per Baron, Mohammad Lhasni di Grantorto
foto Ferrari per Baron, Mohammad Lhasni di Grantorto

Mohamed Lhasni venne condannato a 14 anni di reclusione come confermato dalla Corte d’Appello che, negando l’aggravante dei futili motivi, avevano ridotto di un anno la pena di primo grado (15 anni) inflitta con rito abbreviato. Nel 2006 ha anche beneficiato dell’indulto e grazie agli sconti di pena è riuscito a ridurre a nove gli anni di carcere. Nel 2013 è tornato a essere un uomo libero.

Nel frattempo la famiglia era andata in pezzi. Uno dei figli è stato inghiottito dalla vita di strada e nel 2011 è finito in manette per una rapina a una giovane in stazione. Accanto a lui è rimasta la moglie, stritolata tra la sofferenza eterna per la perdita della figlia e l’obbligo morale di non abbandonare il marito.

Ma poco dopo l’uscita dal carcere è scaduto il suo permesso di soggiorno, la Questura ha negato il rinnovo e il documento è stato revocato. Per un periodo è rimasto senza documenti, fino a che martedì sera si sono presentati nella sua nuova abitazione di San Pietro in Gu i carabinieri. In mano avevano un ordine del questore che disponeva l’immediata espulsione del sessantaquattrenne marocchino. È stato quindi accompagnato in aeroporto a Venezia e imbarcato nel primo aereo per il Marocco.

«Ci stupisce il tempismo» evidenzia l’avvocato Alessandra Nava del foro di Treviso. «Ho impugnato il provvedimento di revoca del permesso di soggiorno e ho fatto ricorso al giudice. Stavo attendendo che il giudice si pronunciasse e avevo richiesto alla Questura la documentazione sulla base della quale hanno deciso di procedere con l’espulsione. Strano che il mio assistito sia stato cacciato dall’Italia prima del pronunciamento di un giudice e dell’arrivo del materiale richiesto. Tra l’altro il tribunale di sorveglianza aveva anche tolto la cosiddetta “pericolosità sociale”».

C’è quindi una battaglia legale in corso. L’avvocato attende che il giudice si pronunci per chiedere che Mohamed Lhasni rientri in Italia. Ma la polizia lo giudica inadeguato. Dodici anni dopo l’uccisione della figlia. Ventiquattrore dopo la strage di Berlino.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova