Gervasi: «Bisogna donarle alle banche pubbliche»

Lo fanno custodire in Svizzera, come il tesoretto più prezioso, convinte che il proprio bambino potrà disporne in qualsiasi momento, come panacea di tutti i mali. Oltre il 70 per cento delle mamme...
CARRAI - CS OSPEDALE PARTI PREMATURI - MARIA TERESA GERVASI CARRAI - CS OSPEDALE PARTI PREMATURI
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Lo fanno custodire in Svizzera, come il tesoretto più prezioso, convinte che il proprio bambino potrà disporne in qualsiasi momento, come panacea di tutti i mali. Oltre il 70 per cento delle mamme padovane che donano il sangue di cordone ombelicale, ricco di cellule staminali, sborsa tremila euro per trasferire la sacca oltralpe. Lì infatti è permessa la conservazione autologa: il sangue resta “in cassaforte” ad uso esclusivo del suo intestatario. Ginecologi e pediatri assistono impotenti al boom di un business che di “scientificamente provato non ha nulla”: «Oggi l'unica applicazione del sangue di cordone è la cura delle leucemie - spiega Maria Teresa Gervasi (in foto), direttore della Divisione ostetrica dell'azienda ospedaliera - ma sono gli oncoematologi stessi ad affermare che la trasfusione del proprio sangue cordonale su un paziente affetto da questa patologia non è possibile. Eppure le donne continuano a custodire questa sostanza ricca di staminali ad uso personale, non sapendo che in Italia esistono banche pubbliche di cordone dove poterlo donare alla collettività e quindi anche ai propri figli».

Gervasi, che ha illustrato ieri la situazione padovana delle donazioni nel corso del convegno «La cellula dei miracoli, la staminale tra presente e futuro», ha fornito numeri e dati: «Sono circa venti ogni cento le donne che scelgono di conservare il sangue del cordone ombelicale. Sono ancora troppo poche». A sfatare il mito della conservazione ad uso personale del sangue di cordone anche Giuseppe Basso, numero uno del reparto di Oncoematologia pediatrica: «Non ci sono indicazioni scientifiche per la conservazione autologa del sangue di cordone. Se un bimbo si ammala di leucemia non potrà ricevere le proprie staminali: è dimostrato che l'alterazione genetica che porta alla malattia avviene allo stadio fetale, sarebbe troppo rischioso».

Se è certa l'applicazione terapeutica delle staminali del sangue di cordone in alcune patologie oncologiche, tanta è ancora la strada da compiere per poter utilizzare la cellula dei miracoli in altri campi della medicina: nel corso della giornata, organizzata dalla fondazione Belisario, specialisti del calibro del cardiochirurgo Gino Gerosa e Diego Ponzin (banca degli occhi) hanno illustrato le attuali linee di ricerca. Gian Paolo Fadini, ricercatore del dipartimento di Medicina sperimentale, non ha mancato di sottolineare che Padova è al centro di questa nuova sfida scientifica, nonostante manchi ancora una Cell factory, la “fabbrica delle staminali”.

Fabiana Pesci

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