Gotico e mitologia uniti sull’orlo dell’abisso

Da oggi a Palazzo Roverella di Rovigo “Ossessione nordica”: si spalancò un orizzonte nuovo e l’arte italiana si trasformò
Di Virginia Baradel

La Biennale di Venezia, nata nel 1895, ospitò all’inizio l’arte ufficiale dei paesi partecipanti. I primi choc arrivarono dal Nord Europa, dalla Svizzera ai paesi baltici passando per Austria e Germania. Dai pittori nordici arrivò il fascino del mistero: memorie gotiche, vertigini e malinconie, foreste inesplorate e ombre livide.

La grande mostra che si apre a Palazzo Roverella a Rovigo dal titolo “Ossessione nordica” (curata da Giandomenico Romanelli, fino al 22 giugno) presenta gli artisti del Nord Europa che parteciparono alle Biennali a cavallo dei due secoli e che influenzarono gli artisti italiani.

La posta più alta di questo scambio fu l’incontro tra le suggestioni conturbanti d’alta quota e la mitologia classica che abitava il Mediterraneo. Ne uscì un’esaltazione pagana che introdusse Ninfe nelle ghiacce foreste, Nereidi spiaggiate ai piedi di montagne innevate, focosi Centauri e Satiri danzanti sotto cieli invernali. Boeklin, Klinger, von Stuck, Munch, Hodler e i nostri De Chirico, Wolf Ferrari, Moggioli, De Maria, Casorati si scambiarono segreti e tormenti sul bordo dell’abisso.

Sette sezioni, centoventi quadri per raccontare come l’orizzonte nordico scese in Italia e la latente immaginazione notturna dei nostri artisti prese il volo dimostrando come la faccia umbratile della modernità fosse non meno affascinante, semmai più attraente, di quella spumeggiante sotto il sole.

Boeklin apre il sipario con “Rovina sul mare”: lampi sinistri squarciano il cielo buio e rivelano una spettrale rovina con cespugli e cipressi che, cresciuti al suo interno, ne hanno spodestato l’antica maestà. De Chirico fu molto influenzato da Boecklin nei giovanili anni monacensi e “Lotta di centauri” ne è prova diretta così come del desiderio di recupero delle radici tessaloniche e della brutalità primigenia da cui nacque la mitologia greca. La gamma è davvero varia, si va dal nudo disteso di Zwintscher che ha l’impertinenza di Olympia ma un incarnato pallido contro uno sfondo scuro, allo sguardo ermetico ed inquietante delle bambine di Casorati.

L’esoterismo si spinge sino ai Rosacroce del vate Péladan: ne La maschera bianca di Khnopff il candore si trasforma in incubo; mentre il finlandese Kallela tende a evocare i misteri che covano sotto la coltre del visibile ne la Tana della lince. Il peccato di Von Stuck fissa l’emblema dell’Eros simbolista: la Tentatrice, con labbra ardenti e pelle di luna, avvolta dal serpente fissa il malcapitato cui riserverà dannazione eterna.

Gli incantati paesaggi in questa mostra, che siano di Klimt, Laurenti o Wolf Ferrari, possiedono tutti una caratura simbolista: sono antinaturalistici e carichi di suggestioni, luoghi per lo spirito non per i sensi. Gli interni delle case sono misteriosi: dominano la semplicità aspra e incontaminata delle genti del Nord come nel danese Hammershoi. (Nella foto: Felice Casorati, “Le due bambine”, 1912. Tempera su cartone).

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