Il mondo delle anguane dove storia e leggenda diventano un thriller

Si narra che nel '300, quando i Carraresi puntarono le loro mire espansionistiche verso la zona dell'alto vicentino, le genti pedemontane parlassero tra loro in tedesco per non farsi capire dagli odiati invasori. Germanici, bavari, e prima ancora longobardi, a partire dall'alto medioevo si insediarono in questi territori al confine con la latinità. Intorno all'anno mille i vescovi di Padova, Vicenza e Verona, essi pure tedeschi, favorirono l'immigrazione nei loro feudi montani di contadini germanici detti tzimber che nel medio alto tedesco significa carpentiere. I cimbri dunque, di cui oggi restano nomi, toponimi, antiche leggende, oltre a copiosi documenti di archivio che ne testimoniano usi e costumi: ma nella montagna veneta resta anche qualcosa di più tangibile e vivo, una popolazione che costituisce una vera e propria enclave di lingua, cultura ed etnia germanica. E' in questo mondo arcaico, così "altro" da noi, che ci sprofonda Umberto Matino, scrittore padovano (ma originario di Schio e perciò fortemente invischiato con le tradizioni della zona pedemontana), alla sua seconda prova con un nuovo thriller, L'ultima anguana, che Foschi Editore manda in libreria in questi giorni (16 euro), e che l'autore presenterà alla Feltrinelli di Padova il prossimo 19 maggio alle 18.  Dopo La valle dell'orco, successo editoriale con oltre 10.000 copie vendute grazie al passaparola, in questo nuovo romanzo Matino si avventura nella valle del Posina, una vallata del Pedemonte parallela alla val Leogra (quella dell'orco, per intenderci), assai vicina e simile a quella, e per la lingua, ancora il cimbro, e per il carattere delle genti che ne abitano le contrade. Ma non c'è pericolo di essere assaliti dall'effetto déjà vu, perché questa storia è diversa non soltanto nel plot narrativo, come è logico che sia, ma anche nelle atmosfere che presidiano l'azione, nella struttura e nel punto di vista dei personaggi. I protagonisti infatti sono tre ragazzini "foresti" mandati in vacanza da Vicenza a Posina, che si immergono in questo mondo magico, misterioso e terribile come può essere, per dei bambini di città, la montagna dei filò intorno al fontanile, con gli anziani che raccontano antiche storie di salbanelli e di streghe, che «ti ciuciano il sangue dagli oci», di alberi magici e di acque infide in cui si sciolgono le anguane, ninfe ora bellissime e amorose, ora perfide e vendicative, pronte ad afferrare e a trascinare nei gorghi gli imprudenti che le vogliono avvicinare.  In questa atmosfera magica e rarefatta, in cui la natura si anima di mille volti e presenze arcane, i bambini intuiscono anche segreti indicibili che però non riescono a mettere a fuoco del tutto. E' un mondo di fiaba, ma di fiaba alla maniera dei fratelli Grimm. Al termine della loro vacanza sarà il mondo degli adulti a raccogliere il testimone dell'indagine, il maresciallo Baldelli, con i suoi assistenti Pieropan e Camminiti, quest'ultimo esilarante nella sua performance che molto ricorda il Catarella di Montalbano. L'umorismo del resto è una cifra nuova nella scrittura di Matino che, seppur marginale, soccorre il lettore nell'affrontare alcuni momenti veramente drammatici e forti del romanzo. Ma c'è un altro investigatore, don Alfredo, prete filosofo inviato in esilio a Posina per un equivoco politico-sessuale, con risvolti anche in questo caso assai divertenti. Egli darà una mano a Baldelli nella soluzione dell'enigma, in una specie di gioco di ruoli un po' alla don Camillo e Peppone, dato che, lo ricordiamo, parte della storia è ambientato proprio nel 1956, anno della rivolta d'Ungheria, con fugaci cenni al tema della Distensione e Destalinizzazione di cui si discute nella sede del partito comunista di Vicenza presente anche il nostro curioso e incauto don Alfredo. Come se Matino, per dare forza e credibilità alle sue micro storie avesse bisogno di agganci continui con la grande storia.  Mondi che si confrontano: ed è qui la vera forza di questo racconto, di cui è consapevole artefice Umberto Matino col suo attento e amorevole lavoro di antropologo-scrittore, e cioè la resa dei luoghi, della cultura e della lingua, quella dei cimbri, di cui ancora molto c'è da dire e da conoscere, perché si tratta di un mondo tuttora vivo e pulsante, una specie di contrappunto al nostro mondo, dove sono diversi i ritmi, i tempi, i valori. Insomma la vita e la posta in gioco per ognuno di noi. E già l'incipit del romanzo, quel viaggio in corriera dei tre bambini accompagnati dalla mamma attraverso le orride gole che immettono nella vallata, la Strenta dei Stancari, si fa metafora di un doppio rito di passaggio per i ragazzi, dall'età dell'innocenza a quella della consapevolezza, da un mondo noto a un mondo sconosciuto, diversissimo, affascinante ma anche subdolo e pericoloso. Entrare in Val Posina anche oggi, oggi che la carrozzabile raccontata da Matino è diventata una impervia pista ciclabile a strapiombo sul torrente e la statale si accorcia in una rapida galleria, è un po' come entrare ne L'ultima valle, il luogo incantato, arcaico e naturale di quello splendido film degli anni '70, una valle dall'imbocco stretto e quasi invisibile, preservata da invasioni e da contaminazioni, la cui esistenza trascorre immobile nel tempo, una specie di Shangri-La nell'Europa del '600 squassata dalla Guerra dei Trent'anni: un'isola felice fino a quando forestieri casualmente incappati in quel pertugio, non arrivano a portarvi violenza, orrore, sopraffazione e morte.  Nel nostro romanzo però i ruoli sono invertiti: i mostri della val Posina, come del resto quelli della val Leogra, non allignano fra i "foresti", ma tra gli stessi abitanti delle contrade montane, mossi al delitto in una estrema difesa del proprio territorio, della propria storia e dei propri interessi, quando i "foresti" si avvicinano troppo ai loro segreti. In appendice al volume, un ricco apparato di note, con illustrazioni storiche e bibliografiche, rende questo nuovo romanzo di Umberto Matino assai intrigante anche sotto il profilo linguistico ed etnografico, senza nulla togliere ai canoni di suspense, scorrevolezza, azione (pienamente e felicemente rispettati), che ogni buon noir deve mettere in campo per catturare il lettore.

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