Invalido al 70% dopo l’incidente sul lavoro chiede 1,3 milioni a Intercantieri Vittadello

L’incidente sul lavoro era stato drammatico. Un nonnulla dal diventare fatale.

N.A., 49 anni, stata lavorando tra Campalto e Tessera, assistendo alla perforazione del manto stradale durante le opere per realizzazione della variante alla statale Triestina, quando all’improvviso un pezzo della trivella si era spezzato e l’aveva colpito in pieno petto: l’uomo era stato trasportato d’urgenza all’ospedale all’Angelo di Mestre, con il torace e le braccia gravemente feriti. Ne erano seguiti interventi chirurgici e lunghe riabilitazioni.

Era il 15 dicembre 2016 e da quell’incidente sono seguiti mesi di malattia e un’invalidità permanente del 70%: un trauma fisico e psicologico che - secondo il suo legale, l’avvocato Giorgio Caldera e le risultanze della consulenza del medico legale di parte - permangono tutt’oggi, tra angoscia depressiva e deficit funzionale a livello del braccio destro e della schiena.

Dei giorni scorsi, il ricorso al Tribunale civile di Padova, con una richiesta di risarcimento danni per 1,3 milioni di euro, nei confronti dell’allora datore di lavoro, l’Intercantieri Vittadello Spa di Limena (Padova), e della società Santacroce di Somma Vesuviana, che aveva sub-noleggiato il macchinario dalla Irritrivel Srl.

Su quell’incidente è ancora aperta l’inchiesta penale, che per quanto riguarda Intercantieri Vittadello e la ditta produttrice della trivella (la Solimec), si era conclusa con una richiesta di archiviazione da parte del pubblico ministero (impugnata dal legale dell’operaio) e il deposito degli atti nei confronti dei vertici di Santacroce e Irritrivel. Vicenda penale tuttora aperta.

Nel corso dell’inchiesta, il consulente della Procura - l’ingegner Mario Piacentini - aveva individuato come causa del grave incidente il cedimento e rottura “per fatica meccanica” della piastra su cui era agganciato il capofune dell’organo principale delle perforatrice: un deterioramento che sarebbe stato evidente a occhi esperti. Ora la difesa del lavoratore si muove a livello civile, tornando a chiedere la responsabilità contrattuale del datore di lavoro e della società che ha noleggiato l’impianto. «Da un giorno all’altro», sostiene l’avvocato Caldera, «il Signor N.A. si è visto privato della sua attività lavorativa, del suo ruolo di capofamiglia, dovendo dipendere anche per i comuni atti della vita quotidiana dalla moglie e dai due figli, condizionando anche le vite di questi ultimi». Le parti citate si potranno costituiranno con i propri legali: la parola passa ai giudici civili. —

R.D.R.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova