La riscossa di un balbuziente, regnante per caso

Un discorso da Oscar di fronte a una nazione pronta a entrare in guerra
L’attrice Helena Bohnam Carter ne «Il discorso del re»
L’attrice Helena Bohnam Carter ne «Il discorso del re»
Albert Frederick Arthur George Windsor, incoronato re d'Inghilterra nel 1937 con il nome di Giorgio VI, non doveva neppure essere contemplato nelle pagine di storia. Sarebbe stato ricordato solo come il secondogenito di re Giorgio V, quello che balbettava e che non sarebbe mai salito sul trono. E invece, soltanto 11 mesi dopo l'incoronazione di suo fratello, Albert si ritrovò in mano lo scettro di Edoardo VIII, che agli onori della corona preferì l'amore della divorziata americana Wallis Simpson, abdicando a favore del più giovane fratello affetto da balbuzie.  Re Giorgio venne così catapultato al centro di quella Storia che sembrava averlo escluso, e il suo handicap, da difetto "privato", divenne questione di Stato, negli anni turbati dai fragori della seconda guerra mondiale e caratterizzati dall'avvento della comunicazione di massa con la diffusione della radio. Motivo in più per non tartagliare di fronte ai propri sudditi e per intraprendere una lotta contro quegli imbarazzanti spasmi di eloquenza, eredità di una cultura impaludata e formale. «Il discorso del re», regia di Tom Hooper, racconta tutto questo, descrive la condizione umana di un uomo fragile, frustrato dal difetto di pronuncia e costretto ad affrontarlo in un momento e in ruolo delicatissimi.  Il film ricostruisce il difficile cammino del sovrano nel ritrovare la propria voce, grazie alle cure non convenzionali del logopedista australiano Lionel Logue (Geoffrey Rush) che lo costringe a spogliarsi dei pudori e dei vincoli che bloccano le vocali del re in punta di lingua, facendole ristagnare nella melma di una educazione soffocante.  Dai sassi di Demostene alla terapia del turpiloquio, Giorgio esce da quella afasia, anche sentimentale, segnando la riscossa di un uomo di fronte a una nazione pronta a scendere in guerra. «Il discorso del re» ha fatto incetta di nomination agli Oscar con ben 12 candidature. Merito di una regia appassionata, di una sceneggiatura efficace e, soprattutto, della superlativa prova di Colin Firth, che indossa i panni di re Giorgio e ne mette in luce, al meglio, debolezza, caparbietà, malinconia e alterigia. Per la sua interpretazione, l'attore inglese (che parla un italiano perfetto, essendo sposato con la produttrice e regista Livia Giuggioli) ha già vinto un golden globe.  Forse non sarà proprio scientifico - come direbbe un altro illustre balbuziente cinematografico, il ladro Gassman, detto "Er pantera" de «I soliti ignoti» - ma il premio per Firth dovrebbe essere scontato. (Marco Contino)
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