Lo stile svelato del giovane Tintoretto

Convegno alla Cini, anche con i nuovi dati sulla “Crocifissione” degli Eremitani
Di Enrico Tantucci

Gli esercizi di stile del giovane Tintoretto. Non poteva che svolgersi nella sede della Fondazione Cini sull’isola di San Giorgio Maggiore, il convegno internazionale di studi dedicato al periodo giovanile del grande pittore veneziano, che si svolgerà giovedì (dalle 9.30) e venerdì, organizzato dall’Istituto di Storia dell’Arte dell’istituzione - diretto da Luca Massimo Barbero - con l’università di Ca’ Foscari, l’Ecole Pratique des Hautes Etudes, l’Universitè Charles-de-Gaulle Lille 3 e l’Université Lumière Lyon 2. Perché “La giovinezza di Tintoretto” - questo il titolo del convegno prende le mosse dalle ricerche che Rodolfo Pallucchini - grande storico dell’arte che diresse lo stesso Istituto ciniano di Storia dell’Arte - dedicò proprio al periodo giovanile di Jacopo Tintoretto e alla sua formazione, da sempre poco conosciuto, in particolare per gli anni tra il 1538 (con il giovane pittore solo diciannovenne) e il 1550. Le fonti principali sono i pagamenti delle commesse e la biografia seicentesca di Carlo Ridolfi - basata sulle informazioni fornite dal figlio dell’artista, Domenico Tintoretto - in cui racconta, ad esempio che, ancora fanciullo, Jacopo usava i colori del lanoratorio di tintura della seta del padre Giovanni Battista, per dipingere le pareti del laboratorio.

Ma dopo un fugacissimo apprendistato nella bottega di Tiziano, già in un documento del 1539 il precoce Tintoretto si firma “mistro Giacomo depentor nel champo di san Cahssan”, fregiandosi del titolo di maestro, con un proprio stidio in Campo San Cassiàn, nel sestiere di San Polo. La prima parte del convegno della Cini - a cui prendono parte studiosi e docenti universitari da tutta Europa - sarà incentrato soprattutto sulla definizione appunto dello stile giovanile tintorettiano e sulle attribuzioni delle opere, fin dalla prima commissione affidatagli intorno al 1541 dal nobile Vettor Pisani per la realizzazione di sedici dipinti su tavola da collocare nel soffitto della propria residenza, a illustrare le Metamorfosi di Ovidio ispirandosi in qualche modo a quelli di Giulio Romano a Palazzo Te, a Mantova. La seconda parte del convegno indagherà invece su iconografia e storiografia legata ai dipinti tintorettiani, per concludersi con il confronto con altri giovani artisti di formazione tosco-romana che operavano come Tintoretto a Venezia negli anni tra il 1535 al 1550, per discutere così del «caso» del Manierismo veneziano. Tra gli spunti interessanti del convegno, la presentazione dei dati emersi dal recente restauro della “Crocifissione” datata tra il 1540 e il 1545 e ospitata al Museo Civico degli Eremitani di Padova, a opera del centro Conservazione e Restauro di Venaria. Che confermano come Tintoretto eseguisse direttamente sullo strato preparatorio della tela un disegno tracciato a carboncino, uno schizzo per “fissare” subito le sue idee compositive. Ma poi - e anche il restauro della “Crocifissione” e le analisi compiute lo attestano - anche nella fase della pittura, l’uso della grafica nella composizione non si interrompeva, attraverso l’uso del bianco di piombo per fare forma e volume alle figure. Ma si discuterà anche alle critiche del tempo formulate alla “prestezzadi Tintoretto - come nella relazione di Francesca Alberti dell’Università parigina della Sorbonne - per “condannare” la rapidità di esecuzione dell’artista fin dalle prime opere. Nei giudizi formulati dall’Aretino, da Vasari, da Francesco Sansovino o da Ludovico Dolce, i termini “macchia”, “confusione”, “garbuglio”, “a caso” si ripetono per sottolineare l’aspetto “non finito” delle opere dell’artista che sembra, beffardamente, considerare l’arte della pittura come una “baia” o una “burla”. Quanto si sbagliavano.

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