Malato di Sla si lascia morire: «Basta, ho finito di soffrire»
Ex titolare del Lucifer Young di Padova si spegne all’hospice di Camposampiero

Lodino Marton
CAMPODARSEGO. È spirato all’hospice del Bonora di Camposampiero il ristoratore-artista Lodino Marton. Decidendo di sua spontanea volontà di rinunciare alle cure mediche. Marton aveva 65 anni e 5 anni fa gli avevano diagnosticato la Sla. A dare la notizia della morte è la figlia Marianna, straziata dal dolore ma allo stesso tempo lucida testimone di come questa terribile malattia arrivi a distruggere una vita. «Papà aveva espresso la ferma volontà di andare in Svizzera per poter dominare il suo male e decidere lui come e quando porre fine alla sua vita. Da vero combattente quale era, ha voluto impedire alla malattia di avere l’ultima parola».

Lodino Marton durante i lavori di allestimento del Lucifer Young
Il fine vita. Le spese per il fine vita volontario all’estero erano alte, 3 mila euro solo per far inoltrare la richiesta al medico in Svizzera attraverso Dignitas. E i tempi si prospettavano lunghi per l’organizzazione e lo spostamento di una persona completamente immobile, con forti dolori in tutto il corpo. «Finalmente, proprio nello stesso periodo, è passata la legge contro l’accanimento terapeutico e mio padre ha subito pensato di chiedere la sedazione palliativa: “Se non posso andare in Svizzera, almeno voglio che mi addormentino fino a che non arriva la fine”. Le sue ultime parole sono state: “Non intubatemi”», continua Marianna «Dal primo febbraio papà era ricoverato al “Melograno” del centro Bonora e chiedeva spesso di poter porre fine alle sue sofferenze. Il primo marzo abbiamo presentato ai medici della struttura il testamento biologico che era stato redatto da Dignitas alcuni mesi prima, in quanto lui non voleva alcun tipo di macchinario medico che prolungasse la sua esistenza».
Cosa prevede la legge sul fine vita
Testamento biologico. «Mio padre diceva: “Questa non è più vita, voi venite a trovarmi e io rimango qui a fissare il soffitto e la parete bianca”» ricorda Marianna. Dopo due crisi respiratorie a distanza di qualche giorno, la moglie Lidia e la figlia hanno concordato con i medici la sedazione palliativa: sabato 17 marzo alle 20, Marton è entrato in uno stato di incoscienza profonda indotta dai farmaci. Il respiro è andato riducendosi e il 19 marzo alle 11 ha smesso di respirare, senza dolore, nel sonno.
Eutanasia, testamento biologico e suicidio assistito: come è regolato il fine vita nel mondo
Il ricordo. «Mio padre era una persona dinamica, che amava vivere la vita al massimo godendo ogni istante con gli amici e la famiglia», lo ricorda la figlia. «Per molti era un personaggio eccentrico, un artista, uno che amava parlare e aveva sempre moltissimi argomenti di cui discutere. Con lui non ci si annoiava mai». Anche per questo la malattia invalidante è stata un dramma. «Ce l’avevano venduta come una malattia che non fa soffrire, invece non è cosi. I dolori sono fortissimi. Papà è passato dallo stare in piedi allo stare a letto senza mai passare dalla carrozzina. La Sla colpisce in maniera molto diversa, le persone devono esserne informate. Dicono che è rara, invece ci sono sempre più casi e le famiglie non possono essere abbandonate a loro stesse. Abbiamo fatto di tutto perché papà avesse una qualità di vita accettabile, ma quando cominciava a lamentare fortissimi dolori, si irrigidiva, aveva freddo. La sua camera la riscaldavamo a 30 gradi. Abbiamo vissuto cinque anni molto duri».

Il sostegno. A fronte degli sforzi per rendere meno devastante la malattia, Lidia e Marianna si sono trovate con le indispensabili cure non più garantite nella loro totalità, come si dovrebbe nei confronti di un malato gravissimo. «Per mancanza di fondi gli hanno tagliato la terapia che faceva all’Aism su indicazione della clinica neurologica di Padova» racconta Marianna, «da due sedute alla settimana a una, poi uno stacco più lungo. Quando poi papà è rimasto allettato e venivano a fargliele a casa, da due volte sono scesi a una. Ci hanno detto “scusate, non abbiamo più i fondi per darle a tutti”. Così per integrare pagavamo una fisioterapista. Abbiamo avuto problemi anche con la fornitura di Thc sia per i tempi lunghi per ottenerla dall’ospedale che per la qualità che variava spesso. Ci volevano settimane per la richiesta ma non si può andare per altri canali. La boccetta di preparato copriva il fabbisogno di due settimane: le altre le compravamo noi, 100 euro la boccetta. Problemi anche quando papà doveva andare alle visite: l’ambulanza, spesso era a pagamento, 800 euro, con mio padre che si contorceva per i dolori. Noi siamo fortunati perché abbiamo potuto sostenere le spese. E quelli che non possono? Dobbiamo ringraziare tantissimo le strutture di volontariato come l’Aism, che ci ha seguito benissimo. Un grazie anche all’ospedale di Cittadella, dove abbiamo trovato una dottoressa dal cuore d’oro. Da lì papà è passato al Bonora, una struttura encomiabile».
La missione. Marianna ora sente di avere un compito da assolvere: divulgare cosa sono stati questi anni di dolore. «La storia di mio padre deve richiamare a temi attuali che lui sentiva molto vicini». Il funerale di Marton sarà celebrato domani alle 15.30 nella chiesa di Bronzola.
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