Manzoni, il terremoto che in sei anni rovinò il mito dell’Arte

Morì giovanissimo, ma rivoluzionò tantissimo A Palazzo Reale di Milano le sue opere e il suo percorso
Di Virginia Baradel

di Virginia Baradel

Forse non tutti sanno che Piero Manzoni morì giovanissimo, a ventinove anni, e che ci mise meno di sei anni a rovinare il mito dell’Arte. In effetti, una scossa tellurica non poteva durare di più.

La mostra che il Comune di Milano ha organizzato con Skira a Palazzo Reale (fino al 2 giugno, a cura di Flaminio Gualdoni e Rosalia Pasqualino di Marineo) ha il pregio di illustrare in abbondanza le invenzioni che Manzoni sfornò in quel breve lasso di tempo. Incominciò piombando a piedi uniti sull’Informale che aveva saturato l’aria con torme di pittori allenati a sprizzare tormenti esistenziali sulla tela. Si trovò subito in sintonia con i pionieri dell’arte nuova che avevano riattaccato la spina del Dadaismo: Yves Klein a Parigi, il Gruppo Zero a Dusseldorf, l’Internazionale Situazionista in Europa. A Milano si scaldavano i motori: i nuclearisti, Lucio Fontana, Bonalumi e Castellani, il gruppo T.

Piero Manzoni è un giovane milanese di ottima famiglia, molto colto e inquieto che si nutre di letture filosofiche. Va di frequente ad Albisola, luogo di stimolanti frequentazioni artistiche. Tra il 1956 e il1962 (muore il 6 febbraio del 1963) Manzoni cambia i connotati all’arte, ogni suo aspetto viene vivisezionato e asportato. Prendiamo il colore: Manzoni lo abolisce e sceglie il bianco, non di tavolozza ma di caolino, per tele e cose: bianca la tela con le grinze, bianca quella con le michette di pane allineate, bianco il cotone sbuffante e il velluto cucito. Solo superfici bianche, o meglio achromes, senza più traccia di colore. Prendiamo la linea, fondamento del disegno: Manzoni la scuce idealmente e ne fa linee solitarie d’inchiostro che attraversano, in orizzontale, fogli di carta bianca, come un elettrocardiogramma piatto, appena un po’ vibrate per la manualità, poi le arrotola e le infila in un cilindro. Linee di diverse lunghezze che hanno la misura per titolo: la prima linea venduta 9.48 m, l’acquista Lucio Fontana; la linea 1000 m è al Moma di New York.

Poi Manzoni passa a smontare l’altra parte del gioco dell’arte: l’artista. La dissacra esaltandone la dimensione corporale, il qui e ora, la scadenza in luogo dell’immortalità. Gonfia con il suo fiato dei palloncini, con tanto di custodia, e li titola Corpi d’aria; firma i corpi delle modelle che autentica come opere d’arte; poi, tampone d’inchiostro alla mano, pone le sue impronte su uova sode da consumare nel corso dell’inaugurazione della mostra, come a dire dal simbolo universale (poniamo l’uovo sopra la Madonna di Piero della Francesca a Brera) all’uovo di gallina da mangiare: cosa rimane dell’artista?

Dal genio all’impronta; si tratta di un’operazione disvelante: il re è nudo, non è più nascosto nel quadro meraviglioso. Rivelazione per rivelazione, si passa dal piano divino a quello dei bisogni terreni dell’uomo, il consumo estetico si tramuta in consumo animale. L’artista certifica, rilascia ricevute, è roba sua, autentica, dunque Arte. Paradosso? Si, certo, ma anche fulminante emblema del secolo del materialismo. Arte giusta per quella stagione di consapevolezza e rif. ondazione. Filosofia, politica e arti sorelle, confermano. O si va dentro a quello specchio o si vive di rendita e di illusioni. E su questa strada che si arriva alla Merda d’artista, il punto del non ritorno, dello scandalo, della facile ironia ma anche della fama planetaria.

La mostra dedicata a Piero Manzoni si visita a Palazzo Reale di Milano fino al 2 giugno; lunedì: 14.30-19.30; martedì, mercoledì, venerdì e domenica: 9.30-19.30; giovedì e sabato fino alle 22.30 (anche l’1 maggio).

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