Mario Rigoni Stern l'umiltà gloriosa di un vero gigante

Mario Rigoni Stern: oggi ricorre il terzo anniversario della scomparsa
Mario Rigoni Stern: oggi ricorre il terzo anniversario della scomparsa
Amico mio, ti rubo l'idea, seguendo le tracce dei tuoi pensieri dedicati nel tempo agli amici illustri che ti hanno preceduto nel giardino dell'Eden.  La lettera più straordinaria l'hai scritta a Jacopo Bassano, in occasione di una grande mostra che la sua città gli ha dedicato tanti anni fa.  Gli dicevi delle sue origini dell'altipiano, della sua famiglia che era scesa a valle per continuare la tradizione di conciapelli che, da generazioni, avevano svolto ad Asiago. Di suo padre che era andato ad affinare la sue doti pittoriche a Padova, e di lui - ragazzo - che gli aveva rubato i pennelli e aveva cominciato a dipingere i volti degli angeli e poi a superarlo nell'espressione straordinaria che sapeva dare ai personaggi delle grandi pale d'altare distribuite nelle chiese che segnavano il corso della Brenta in Valsugana.  Una lettera commovente, pubblicata in terza pagina nel La Stampa, il 22 dicembre 1992.  La seconda lettera era dedicata a Primo Levi, morto suicida a 68 anni, sfinito dall'insopportabilità di essere un "sommerso" che, come diceva Rigoni: «Il 19 ottobre 1945 era arrivato a Torino gonfio, barbuto e lacero, dopo un fantastico e incredibile vagabondare in tutta Europa». Così, come successe a lui, quando nel 1945, essendo evaso dal campo di concentramento tedesco nei pressi dei laghi Masuri, all'estremo nord della Germania, si era incamminato verso casa (aveva 24 anni) compiendo un interminabile viaggio attraverso boschi e vallate, fino all'incontro con un provvidenziale camion che lo caricò in Carnia e lo sbarcò a Mestre, da dove, a piedi, raggiunse finalmente l'altipiano.  Mario Rigoni raccontava raramente questa storia. Aveva bisogno di trovare il momento, di uscire dai suoi pensieri e affidarsi a chi sapeva comprenderlo, perché la memoria delle sue guerre erano diventate un incubo. Ne parlava volentieri con Giulio Einaudi, Nuto Revelli, Roberto Cerati, Primo Levi e qualcun altro che gli stava vicino e rappresentava, per lui, la certezza di essere rientrato nella vita civile ed avere tempo per le sue carte da scrivere per gli altri.  Si conversava nel suo piccolo studio che aveva una finestra tonda che guardava sul prato del "Moor".  Raramente si accendeva una sigaretta e guardava la cenere che si scioglieva lentamente. Poi parlavamo di libri e della nostra casa editrice che non aveva voluto lasciare mai, anche quando i momenti difficili dell'amministrazione controllata avevano indotto alcuni grossi autori a migrare altrove.  Scriveva ogni giorno, come se il suo fosse stato un bisogno fisiologico che non poteva essere trascurato. Nei suoi numerosissimi incontri con gli studenti, il pubblico delle librerie e delle biblioteche pubbliche, raccomandava a tutti di essere se stessi e di non tradire mai l'obbiettività nel giudizio sull'onestà di chi ci governa. Diceva che si poteva anche subire il peso di scelte assurde, all'apparenza convenienti, ma era necessario resistere alle lusinghe e porsi eternamente il problema dell'equità e della giustizia paritaria. Il resto, anche a costo di sacrifici pesanti, sarebbe stato un traguardo responsabile di conoscenza.  Non amava i paludamenti e le preziosità. Stava nella sua casa al limiti del bosco, con la quieta speranza che il futuro della sua famiglia e della gente che lo circondava fosse rimasto semplice come era stata la sua vita. Amava, si sa, le sue api, le verdure dei piccolo orto rosicchiate da qualche capriolo notturno, le lunghe passeggiate nel bosco e, forse, il parlare con gli alberi che conosceva - uno per uno - come se fossero stati i compagni della sua lunga vita.  Quando sentì il male che lo aggrediva, lo nascose per un po' a tutti, anche a noi che, come sempre, avevamo celebrato il suo ottantasettesimo compleanno il primo novembre di tre anni fa, seduti accanto a lui e ad Anna nella cantina della casa di suo figlio Alberico.  Non disse niente e brindammo - come sempre - per un arrivederci all'anno venturo.  Poi si seppe della irreversibilità della malattia e tutti ci augurammo che, nella lotta per la vita, gli fosse risparmiato ogni inutile accanimento. Così fu infatti, e lui si spense nel suo letto in una calda mattina di metà giugno circondato dai suoi figli e da Anna.  Per fortuna, di lui ci restano oltre al suoi libri preziosi, la memoria grande del suo vivere in quella semplicità riservata solo alle grandi figure della storia del mondo.  Gli bastava poco, e si sforzò di fare questa raccomandazione a tutti gli altri, perché in questa giostra di poteri usurpati e di inutili sprechi, restasse qualcosa per chi vuole vivere questo mondo nel rispetto e nell'umiltà.

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