Monselice perde l’Etno Festival «Nessun aiuto dal Comune»

Fabio Gemo, regista e fondatore della rassegna cinematografica da 20 anni: «Qui invece di supportarmi mi sopportano Me ne vado a Padova» 

MONSELICE

Dopo vent’anni nella cittadina murata l’Etnofilm Festival e la scuola di cinema e documentario etnografico traslocano a Padova. Una decisione sofferta ma ponderata in tanti anni quella di Fabio Gemo, regista e fondatore di una delle scuole di eccellenza della penisola, unica del suo genere e conosciuta in tutto il mondo, con sede nel Monte Ricco. Uno sfogo e un modo di togliersi qualche sassolino dalle scarpe: «Non sono mai stato ascoltato da tutte le amministrazioni che si sono succedute», spiega Gemo. «Mi sono stancato di spendere energie verso chi non apprezza il mio lavoro, per questo ho deciso di spostare la sede della scuola e il festival in una città che crede in questi progetti».

Il regista ammette di non avere più energie da mettere in campo a Monselice per il festival che da 20 anni porta in scena i grandi nomi della regia etnografica internazionale, attori di grande calibro e relatori di eccellenza. Alejandro Jodorowski, Eugenio Barba, Cecilia Mangini, Francesco De Melis e Vittorino Andreoli sono solo alcuni dei grandi nomi legati al mondo del documentario della performance e della cultura che il festival di Gemo ha ospitato, il cui palinsesto ha interessato i docenti universitari di tutta Italia. «Durante questi anni non ho trovato alcun appoggio da parte del Comune, che stanziava qualche fondo senza però poi sostenere nel concreto le iniziative», continua Gemo, «ho avuto problematiche persino con palchi e sedie. Il festival inoltre non è mai stato promosso dai canali ufficiali dell’amministrazione».

Il regista ed antropologo nel 2000 aveva organizzato nella cittadina della Rocca il primo congresso mondiale di antropologia, il trampolino di lancio per il festival e per la prestigiosa scuola che da anni ospita studenti provenienti da diverse regioni.

«Solo l’ex assessore Gianni Mamprin aveva creduto nei progetti che stavamo portando avanti, ma si è trattato di una mosca bianca. Avrei voluto continuare a lavorare a Monselice, nella mia città, perché credo nel valore culturale e turistico di un festival di alto livello in un piccolo borgo. Mi sono reso conto che anziché supportarmi, per 20 anni mi hanno sopportato».

Un regista con idee innovative, che ogni anno trasformava la cittadina per alcuni giorni in un laboratorio di antropologia a cielo aperto, con incontri, proiezioni ed attività. Un laboratorio unico al mondo che da settembre prenderà vita a Padova. «A Monselice poi non ci sono teatri, non ci sono sale pubbliche per convegni, non ci sono strutture nemmeno all’aperto per accogliere iniziative».

Il regista con rammarico si è trovato in un vicolo cieco, senza che nessuno proponesse una soluzione concreta per mantenere nella cittadina murata i prestigiosi progetti culturali e turistici, di cui ora ne potrà godere la città di Padova, che lo ha accolto a braccia aperte. —

Giada Zandonà

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