Museo dell'Internato Ignoto: appello per trovare cimeli e fotografie

PADOVA. Completamente risistemato, il Museo dell’Internamento a Terranegra (che in tale nuova veste verrà inaugurato a metà settembre) sta subendo anche una trasformazione nell’allestimento, con maggiore spazio e le pesanti teche sostituite da più spaziose e agili vetrine.
Troveranno posto, va de sé, i cimeli che già c’erano e anche quelli che se ne stavano defilati per mancanza di spazio. Non solo. Vittorio Pierbon, che del museo gestito dall’Anei (Associazione nazionale ex Internati in convenzione con il Comune) è direttore, lancia un appello. E chiede ai figli e ai nipoti di soldati italiani internati nei lager nazisti dopo l’8 settembre 1943, di affidare al museo eventuali cimeli, lettere, scritti, fotografie, cartoline dai lager, attrezzi, strumenti musicali usati durante i lunghi mesi di prigionia. Ogni oggetto verrà esposto con una spiegazione e con il nome e cognome di chi l’ha donato. Chi fosse interessato scriva una mail a direzione@museodellinternamento.it o telefoni al 347-2727566.
Il museo dell’Internamento è un’eredità lasciata da monsignor Fortin, allora parroco di Terranegra, deportato nel campo di concentramento di Dachau per avere sfamato alcuni soldati alleati. Durante la terribile prigionia aveva fatto voto che, qualora fosse riuscito a tornare, avrebbe edificato un Tempio in ricordo dell’immane tragedia vista e vissuta e personalmente. Accanto al Tempio, don Giovanni Fortin volle un piccolo museo, poi ampliato dal suo successore don Alberto Celeghin. Il museo è finora l’unico in Italia che ricordi specificamente la tragedia dei soldati italiani dopo l’8 settembre 1943. «Con i cimeli, le foto, i testi, i dipinti fatti nei campi di concentramento», spiega Vittorio Pierbon «il museo vuole tramandare la memoria de soldati Imi (Internati Militari Italiani) alla generazione dei figli, dei nipoti ed alle successive, quale monito contro la tirannia, la guerra e la violenza, e quale esempio di dignità, di fedeltà e di sacrificio di ben 650 mila soldati italiani che ebbero il coraggio di dire “no” all’asservimento alle dittature. Ora, con il maggiore spazio ricavato con il nuovo allestimento, vorremmo arricchire la collezione, con altri cimeli: siamo interessati in particolare ad acquisire la divisa di un soldato italiano, (possibilmente di fanteria) che sia stato prigioniero nei lager; ma siamo interessati ad esporre tante altre cose , come appunti manoscritti nei lager, foto, attrezzi vari o strumenti, cartoline che abbiano attinenza con questa dolorosa storia. Molti sono già i dipinti in esposizione, come i quadri del soldato prigioniero Ludovico Lisi, padovano, che al suo ritorno dalla prigionia riportò su 18 tavole dipinte ad acquerello la vicenda della cattura e dell’internamento nei lager, nonché la vita nelle baracche con linguaggio semplice e commovente. Infine, un altro appello. Il museo conta su volontari che lo tengono aperto e forniscono spiegazioni ai visitatori: se c’è chi ha qualche ora alla settimana e interesse per l’argomento, sarà il benvenuto.
(Alberta Pierobon)
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