Odissea da Coronavirus, 46 ore e cinque voli per tornare a casa dalle Bahamas

PADOVA. Un’odissea di quarantasei ore, cinque voli e 4.300 dollari. È stato questo il prezzo della libertà per Loris Carraro, rimasto bloccato nell’isola di San Salvador dal lockdown mondiale, incapace di tornare a casa per un mese e mezzo oltre la data stabilita per il rientro, lo scorso 19 marzo.
Un paradiso amaro per il pensionato padovano che a metà febbraio si era recato alle Bahamas per rendere omaggio alla memoria dell’amico Carlo, originario di Limena, morto a 68 anni proprio a San Salvador dove da tempo aveva aperto un’attività turistica assieme alla moglie.
«Iberia, la compagnia con cui avevo prenotato il volo di ritorno, aveva procrastinato nuovamente la data del rientro. Dopo averlo fatto slittare al primo maggio nel pieno dell’epidemia, nei giorni successivi lo aveva riprogrammato per il 30 giugno e anche in questo caso non c’erano comunque garanzie che quel giorno avrei potuto imbarcarmi» racconta Loris «non solo, con l’aumento dei contagi a Nassau, i politici avevano cominciato a dire che gli stranieri che si fossero infettati avrebbero dovuto andare a curarsi a casa loro e questo, unito al fatto che a San Salvador la struttura sanitaria principale è un ambulatorio, aveva cominciato a inquietarmi: insomma, se la malattia avesse cominciato a diffondersi su quell’isola sarebbe stata una tragedia. Quindi, sebbene avessi il volo di rientro già prenotato, ho deciso di organizzare il ritorno pagando di tasca mia».
Intanto, dalla Farnesina, contattata all’inizio della pandemia per avere indicazioni sul rimpatrio, non è mai arrivata alcuna risposta: «Io non pretendevo che mandassero un aereo a prendere solo me, ci mancherebbe» prosegue Carraro «ma magari una risposta e qualche consiglio su come muovermi per rientrare me li sarei aspettati».
E invece ha dovuto arrangiarsi, sostenuto dalla figlia e dal genero che lo hanno guidato dall’Italia: «Devo a mia figlia se sono riuscito a tornare a casa, lei ha tenuto i contatti con consolati e ambasciate» assicura «non è certo merito del console delle Bahamas: la sera prima della partenza non sapevo ancora se avrei avuto il via libera per andarmene». Via libera che è arrivato a San Salvador alle 9 di una rarissima mattina di pioggia battente.

«Alle 10 avevo l’appuntamento in aeroporto dove mi aspettava un Piper per portarmi a Nassau» prosegue. Da lì l’aereo per Fort Lauderdale: «Una volta atterrato in Florida ho preso un Uber che mi ha portato fino a Miami dove ho trascorso una notte insonne in un albergo blindato e deserto» prosegue «quindi il mattino successivo ho raggiunto l’aeroporto di Miami, ugualmente deserto e senza nemmeno poter comprare una bottiglietta d’acqua perché tutti i negozi erano chiusi. Da lì sono arrivato a New York dove mi sono imbarcato di nuovo, questa volta su un volo Alitalia in cui c’erano a malapena 50 posti occupati da viaggiatori sui 3-400 disponibili».
Con un’ulteriore beffa: «Per rilassarmi un po’ avevo prenotato anche il posto vicino in modo da poter stendere le gambe» prosegue Loris Carraro «ma una volta a bordo mi è stato impedito di farlo. Le hostess ci dicevano di restare ai nostri posti e non occupare quelli liberi».
Quindi lo sbarco a Roma e da lì l’ultimo volo fino a Milano, dove i familiari lo hanno accolto prima di consegnarlo alla quarantena imposta dalla legge: «È stato un viaggio infinito oltre che surreale, in cui in ogni aeroporto ho dovuto ritirare il bagaglio e imbarcarlo sul volo successivo» aggiunge «ma tra le cose che mi hanno fatto riflettere, c’è senza dubbio il fatto che negli aeroporti degli Stati Uniti c’era un dispenser con il sanificante per le mani ogni 30 metri, mentre in quelli di Roma e Milano, pur passando da un gate a un altro, non ne ho visto nemmeno uno». —
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