Ramonda licenzia tutte le dipendenti del negozio bruciato

"Ci hanno trattato come limoni da spremere, dopo il rogo nessuno della proprietà è venuto a parlarci"
Scorcio del magazzino Ramonda subito dopo l'incendio
Scorcio del magazzino Ramonda subito dopo l'incendio

SANT’ANGELO DI PIOVE.  Ieri (giovedì), nella sede della Confcommercio a Vicenza, è, definitivamente, calato il sipario sulla vertenza delle 18 dipendenti del maxi-negozio Sorelle Ramonda, rimaste senza lavoro dopo che, nella notte tra il 7 e l’8 giugno dello scorso anno, venne bruciato l’edificio a Vigorovea che ospitava il centro commerciale per l’abbigliamento.

Alla fine del terzo incontro tra le parti, i rappresentanti della nota azienda tessile vicentina (nata nel 1954 su iniziativa di una famiglia dell’Alta Padovana ed oggi con 56 punti vendita in tutta Italia) hanno consegnato, a mano, 16 lettere di licenziamento ad altrettante ex dipendenti della filiale di Vigorovea.

Tutte, salvo due lavoratrici in maternità, che per la loro condizione non possono essere licenziate e sono state trasferite fra il personale della sede centrale ad Altavilla Vicentina. Le ex commesse e cassiere resteranno in cassa integrazione sino al 22 agosto, poi saranno in disoccupazione. Sino a un massimo di 24 mesi avranno diritto alla cosiddetta Naspi, l’istituto assistenziale introdotto con la nuova legge Fornero/ Monti.

«Purtroppo la storia delle lavoratrici della sede padovana delle Sorelle Ramonda finisce qui» sottolinea Fabio Paternicò, il sindacalista della Uiltucs-Uil, che ha seguito la vertenza «All’inizio sembrava che dalle ceneri del rogo della filiale di Vigorovea potesse rinascere una nuova sede della società vicentina nel Piovese, ma il progetto non ha mai avuto un seguito concreto».

Il commento delle licenziate è ancora più amaro: «Le parti si sono incontrate più volte, ma ci dispiace che un diretto rappresentante dell’azienda vicentina non sia mai venuto, di persona, a stringerci la mano» dicono le neo-disoccupate «Abbiamo lavorato per il Gruppo Ramonda dai 10 ai 30 anni e, dopo il rogo doloso, nessuno della famiglia vicentina è venuto da noi per dimostrarci comprensione e solidarietà. Ci hanno trattato come limoni da spremere e non come persone. Di questi tempi perdere il posto di lavoro è una tragedia familiare anche perché alcune di noi sono monoreddito. Faremo di tutto per cercare una nuova occupazione. O nel settore commerciale o in altre realtà economiche».

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