Rosara, 35 anni fa la tragedia dell’asilo

Il 9 giugno 1982 un fulmine colpì un albero in cortile. Sotto c’erano 8 bimbi: 2 morti, 6 feriti. Il ricordo di un sopravvissuto
CODEVIGO. Due bambini persero la vita folgorati da un fulmine, altri sei finirono in ospedale per le ferite riportate. Ricorre oggi il trentacinquesimo anniversario di una delle più dolorose tragedie che colpì la comunità di Rosara, la piccola frazione incastrata tra il fiume Brenta e le valli lagunari. Erano le 13.41 quando un fulmine, in una giornata afosa e fino a un attimo prima ancora baciata dal sole, scaricò tutta la sua potenza su uno dei grandi pioppi che maestosi si ergevano nel cortile di quello che un tempo era l’asilo di San Daniele Profeta gestito dalle suore e oggi trasformato in centro parrocchiale. La scuola materna, oltre ai bambini più piccoli, nel pomeriggio ospitava anche quelli delle elementari che si fermavano per il dopo scuola. Come tutti i giorni, dopo pranzo e prima di fare i compiti, i ragazzini scappavano all’aperto per giocare. Lo ricorda bene Alberto Turrin che allora aveva dieci anni. «Eravamo nel cortile a giocare a pallone. All’improvviso iniziarono a cadere delle gocce. Alcuni si ripararono nei tombini di cemento utilizzati come vagoni di un trenino, altri, compreso io, sotto uno delle piante». Il fulmine colpì il campanile tanto da fermare l’orologio, ma si scaricò in pieno sul grande albero. Roberto Bottin e Cristian Bizzo, entrambi di undici anni, rimasero folgorati. «Io ero vicino a loro» continua Alberto, «e mi trovai sbalzato, senza rendermi conto, sotto allo scivolo. Mi ricordo le ambulanze e la corsa all’ospedale di Piove di Sacco dove un medico, un omone, mi fece un’iniezione. In un ambulatorio vicino vidi uno dei miei amici steso su un lettino e una delle suore seduta a fianco in lacrime. Nella mia ingenuità le chiesi cosa fosse accaduto e lei mi rispose solo che stava dormendo e di non preoccuparmi». Alberto per sei mesi portò delle ferite al petto, all’altezza del cuore, come se fosse stato graffiato da un gatto. Sul posto della tragedia intervennero in tanti. C’erano i lavoratori che si erano riparati in osteria in attesa che il tempo si sistemasse. Arrivarono anche dei nomadi accampati sull’argine del Brenta che iniziarono con la sabbia a fare i massaggi cardiaci ai bambini feriti. Da quel giorno a Rosara non fecero più ritorno. Oggi a ricordare quel 9 giugno 1982 è rimasta una lapide commemorativa costruita da uno dei genitori dei bambini morti. L’attuale sindaco Annunzio Belan, all’epoca poco più che trentenne, si trovava a casa dei genitori, a qualche centinaio di metri dall’asilo. «Rimasi frastornato» ripesca commosso nella memoria, «da quel boato in una giornata che mai avrebbe fatto presagire una cosa del genere. Un evento atmosferico che a cui mai più ho assistito nella mia vita. Risuonano nella mia testa ancora le urla di dolore e di disperazione. Il giorno dei funerali la chiesa non riuscì a contenere tutte le persone che accorsero per l’ultimo saluto ai bambini e per stare vicina alle famiglie». Una giornata che non potrà mai dimenticare neppure il parroco di allora, don Agostino Marinello, oggi a Lova, nel veneziano. «Ero a Rosara da quattro anni» ricorda, «e ormai conoscevo benissimo tutti. Il ricordo è presente più che mai». Anche don Agostino ricorda il boato che lo colse mentre stava riposando nella vicina canonica. A quello seguirono i pianti e le urla e la visione dei bimbi stesi a terra. «Chiamammo subito i primi soccorsi» continua, «mi recai in ospedale a Piove di Sacco dove feci il riconoscimento di uno dei bambini deceduti. Fu una tragedia immane, che colpi tutta la comunità perché l’asilo era il cuore pulsante e vitale del paese». Il sacerdote non può cancellare neppure il giorno del funerale. «Il vescovo Filippo Franceschi era appena stato nominato e quella fu la sua prima uscita ufficiale. Fu lui stesso a offrirsi per celebrare la messa. Non posso dimenticare i suoi sforzi, durante tutta la celebrazione, per trattenere le lacrime».


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