Scandalo nella giustizia, Padova si schiera «Basta alle correnti e più meritocrazia»

Roberti, Fino e Brusegan prendono posizione dopo le ultime rivelazioni sul caso Palamara tra nomine e cerchi magici 
FERRO - PM BENEDETTO ROBERTI FERRO - PM BENEDETTO ROBERTI
FERRO - PM BENEDETTO ROBERTI FERRO - PM BENEDETTO ROBERTI

I l caso

Cerchi magici che orientano le nomine. Un organo di autogoverno, il Consiglio superiore della magistratura, di fatto scavalcato (o manovrato) da correnti ridotte a centri di potere dove la regola non era (o non è) merito e competenza ma legami, amicizie e fedeltà, mentre nella catena di comando c’è sempre lui, Luca Palamara, ex capo dell’Anm (Associazione nazionale magistrati). È una melma maleodorante al centro dell’inchiesta di Perugia che investe la Giustizia. E sta sconcertando i cittadini ma altrettanto almeno una (gran) parte della magistratura.

Alcuni magistrati padovani non stanno in silenzio.

Il sostituto procuratore Benedetto Roberti, una carriera iniziata nel 1988, è chiaro: «Le correnti? Almeno così come sono vanno sciolte». Il pm osserva: «Giustamente il giornalista Paolo Mieli ha ricordato che la magistratura cambierà solo quando i magistrati usciranno dall’alveo protettivo delle correnti. Ma finora nessuno (o quasi) parla, se non nelle chat fra magistrati» commenta. Perché questo silenzio di fronte all’opinione pubblica? Il pm snocciola due ipotesi: «La prima è il timore di ripercussioni nella propria carriera. Ma se un magistrato ha timore dei propri colleghi, che autonomia e indipendenza può avere? Voglio credere, allora, a una seconda ipotesi: c’è sfiducia in un cambiamento che non può essere solo legislativo ma deve riguardare l’approccio culturale e deve partire dai consigli giudiziari, (articolazioni del Csm a livello di ogni distretto che coincide più o meno con la Regione)». Fondamentale nelle promozioni «è valutare merito e anzianità anziché solo le appartenenze» avverte Roberti. Insomma le correnti «hanno vissuto un cambiamento epocale, da momenti di contributo al dibattito in tema di politica giudiziaria, com’era negli anni ’80, a organismi interessati solo al posizionamento dell’amico di un amico. Addirittura i membri dei consigli giudiziari sono nominati sulla base di liste elettorali correntizie e su programmi pressoché identici». La ricetta per andare oltre? «Così come sono le correnti, ridotte di fatto a veri e propri partiti, vanno soppresse per creare altri strumenti di discussione in tema di cultura giuridica e di proposte legislative».

Il giudice Mariella Fino – alle spalle tanti anni in magistratura e anche una breve e precedente parentesi come avvocato – si unisce «al coro di lamenti e di nausea per questo andazzo delle correnti, in origine nate per riunire magistrati dal comune sentire». E osserva: «Hanno svolto un lavoro egregio per trasformare la magistratura da corpo burocratico a organismo capace di attuare i dettami costituzionali. Oggi, però, la degenerazione è sotto gli occhi di tutti. E la maggioranza di noi è vittima del correntismo e vorrebbe che fosse superato». Il giudice Fino non tace il suo sconcerto. «Siamo senza parole di fronte a quanto sta emergendo: magistrati che si abbassano a logiche clientelari tipiche di altri ambienti. Siamo senza parole e impotenti. Tuttavia non vorremmo rinunciare al diritto costituzionale di associarci» fa notare, anche se le soluzioni proposte quanto all’organo di autogoverno «non sembrano soddisfacenti».

Sulla stessa linea di pensiero il sostituto procuratore Marco Brusegan, entrato in magistratura sette anni fa: «Le correnti negli anni ’60 e ’70 hanno contribuito a migliorare il sistema delle carriere dei magistrati, rendendolo più democratico. Solo che oggi, per una crisi dei valori e una de-ideologizzazione, sono orientate non più all’interesse collettivo della democraticità delle nomine quanto all’interesse individualistico del singolo iscritto alla corrente». Insomma «hanno perso la loro reale funzione per diventare un mero strumento spartitorio». Ed ecco lo scandalo. Il pm Brusegan ammette: «La valutazione del Csm nei confronti di chi deve ricoprire un ruolo direttivo dovrebbe essere basata su parametri squisitamente tecnici, scolpiti in norme più dettagliate di quelle attuali. Altrimenti quei criteri di scelta vengono bypassati da logiche di correnti. Correnti che, oggi, partecipano alle nomine di fatto con proprie “istruttorie” per quanto riguarda le candidature ai posti direttivi. Per fortuna la stragrande maggioranza di noi fa il proprio lavoro. Un esempio? La mia stima va a una collega vicina d’ufficio, in procura da 30 anni: pensa a fare il pm e sta lontana da logiche spartitorie». —

Cristina Genesin

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