«Sono ancora al mio posto per miracolose coincidenze»

SELVAZZANO. È tornata in servizio la dottoressa Elisabetta Nardi, che a giugno era stata colta da un'emorragia cerebrale dovuta a un aneurisma, mentre si trovava nel suo ambulatorio pediatrico a...

SELVAZZANO. È tornata in servizio la dottoressa Elisabetta Nardi, che a giugno era stata colta da un'emorragia cerebrale dovuta a un aneurisma, mentre si trovava nel suo ambulatorio pediatrico a Selvazzano. È tornata da circa quattro mesi a curare i suoi piccoli pazienti, anche perché tra bronchiti, otiti e gastroenteriti è tutto un susseguirsi di visite e telefonate di mamme preoccupate per i loro piccini febbricitanti e doloranti.

«Lo so, mi dicono tutti, pure i pazienti stessi, che dovrei lavorare di meno», commenta la dottoressa Nardi sfoderando uno dei suoi sorrisi dolci, «ma ho tanti assistiti e oramai, dopo tanti anni, sono abituata a questi ritmi. Ho bloccato, però, l'arrivo dei nuovi nati, pertanto d'ora in poi non avrò pazienti nuovi».

Sorpresa, oltre che grata, dell'immensa manifestazione di affetto e solidarietà ricevuti in questi mesi. «Ringrazio davvero tutti», prosegue la pediatra, «dalle comunità di San Pietro in Gu e Carmignano di Brenta, dove ho iniziato la mia attività e sono rimasta vent'anni, che mi sono state molto vicine. Così come i colleghi, che mi sono venuti a trovare in ospedale, le mamme, che mi incitavano tramite messaggini su Whastapp, i bimbi che mi facevano recapitare biglietti e disegnini. Mi davano per morta, tanto che qualcuno ha portato davanti alla porta dell'ambulatorio un mazzo di fiori. Invece sono qui, non so ancora come ho fatto a scamparla, ma sono qui, consapevole dell'enorme fortuna che ho avuto».

Quella sera di giugno non mancava molto alle 20 e la dottoressa stava sistemando le ultime pratiche per non lasciare nulla in sospeso alla collega che l'indomani sarebbe arriva a sostituirla, visto che si era presa dei giorni di vacanza.

«A un certo punto ho visto delle righe nere, poi più nulla» ricorda. «Fortunatamente c'era mia figlia, che ha chiamato subito il 118 e si è attaccata ai campanelli del condominio chiedendo aiuto. E qui, un'altra "fortuita coincidenza", o in qualunque modo si voglia chiamarla: tra i vicini c'era una donna che aveva svolto il corso di rianimazione e ha tenuto in vita la dottoressa fino all'arrivo del Suem.

«Quando sono andata a ringraziarla, mi ha detto che lei, a quell'ora, non sarebbe nemmeno dovuta essere a casa», rivela la pediatra. Da lì da dottoressa si è trasformata in paziente, intraprendendo un lungo periodo di cura e di riabilitazione.

«Eccezionali sono stati il dottor Francesco Causin della Neurochirurgia di Padova, che mi ha operata», prosegue la dottoressa Nardi, «insieme agli altri medici e infermieri, per la gentilezza e umanità dimostrata. E poi la dottoressa Anna Vacchi del servizio di riabilitazione dell'ospedale Sant'Antonio, cui mi sono rivolta dopo che il mio percorso riabilitativo si era rallentato in quanto all'ospedale di Motta di Livenza non si erano accorti di alcune lesioni alla schiena, che mi hanno reso impossibile sottopormi agli esercizi. E se c'è qualcosa che ho imparato da questa esperienza è l'importanza dell'ascolto. Noi medici, spesso, ascoltiamo troppo poco quello che il paziente ci dice».

Cristina Salvato

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