Strage alla Coimpo, è iniziato il processo

Quattro operai morirono per una nube tossica, alla sbarra anche gli imprenditori di Noventa

NOVENTA PADOVANA. Sono trascorsi tre anni e mezzo da quella terribile mattina del 22 settembre 2014 in cui morirono, investiti da una tube tossica, quattro lavoratori alla Coimpo di Ca’Emo. E il processo, ieri, è finalmenete entrato nel vivo.

Uno stuolo di avvocati ha riempito l’aula A del tribunale di Rovigo, sia in difesa degli otto imputati, più le due società coinvolte, Coimpo e Agribiofert, che in rappresentanza delle parti civili.

Non solo familiari delle vittime, ma anche Provincia, Regione, Inail, comune di Adria, Legambiente, Wwf e Italia Nostra.

Alla sbarra ci sono i vertici di Coimpo e Agrobiofert, Mauro Luise e Gianni Pagnin di Noventa Padovana (entrambi in carcere per l’inchiesta della Dda di Venezia), Rossano Stocco, Alessia Pagnin (figlia di Gianni), Glenda Luise (figlia di Mauro) e Mario Crepaldi (ai domiciliari sempre per l’inchiesta veneziana), inoltre Michele Fiore e Alberto Albertini.

Prima che il giudice Nicoletta Stefanutti chiamasse i primi testimoni a deporre, si è discusso sull’acquisizione delle intercettazioni della Dda di Venezia, quelle 10mila pagine che a livello politico stanno facendo tremare Adria. Il pm Sabrina Duò che nelle scorse udienze ha chiesto di ampliare il campo d’imputazione al disastro ambientale, oltre che all’omicidio colposo plurimo ha argomentato la richiesta di acquisizione delle intercettazioni ritenendole essenziali per dimostrare il dolo nell’omissione delle cautele (è contestato il 437 del codice penale). «C’era una consapevolezza che si evince dalle telefonate», ha sostenuto il pm Sabrina Duò.

Ma il giudice ha rigettato la richiesta.

Qui è nato un battibecco tra magistrati, perché il pubblico ministero ha sottolineato come non riesca a dimostrare l’omissione dolosa delle cautele senza quelle intercettazioni. E ha avuto gioco la difesa dei vertici di Agribiofert e Coimpo, che prontamente ha aggiunto: «Proceda con il proscioglimento, allora». Con le testimonianze dei primi a intervenire sul luogo dell’immane tragedia sul lavoro, il ricordo di quella terribile mattina è tornato vivo. Fabio Monticelli, del Radiomobile di Adria ha raccontato come un mezzo fosse andato a finire contro un deposito attrezzi.

E intorno i tre corpi senza vita di Marco Berti, 47 anni, di Rovigo, Giuseppe Baldan, 48 anni, di Campolongo Maggiore (Ve) il camionista che stava sversando i fanghi nella vasca D e Nicolò Bellato, ragioniere di 28 anni, di Adria.

Non si è trovato subito il corpo di Paolo Valesella.

«Lo trovammo vicino al silos 23, in fondo al deposito dei fanghi. A quel punto facemmo il sopralluogo con le foto e il video», è il ricordo straziante del carabiniere.

Tra le foto più importanti, quella del tubo con cui si stavano sversando i fanghi, non immerso nella vasca ma sospeso sulla vasca.

Le difese hanno cercato di evidenziare come, nella concitazione dei soccorsi, non sia da escludere che qualcuno possa averla spostata.

Sarà proprio sulle consulenze tecniche d’ufficio e di parte, che tutto il processo farà perno. Questa è l’unica certezza di accusa, difese e parti civili.

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