Tobia Scarpa Un docu-libro sull’anima delle cose

Si ha la sensazione di entrare prima a piccoli passi nel suo studio. Poi, un po’ alla volta, Tobia Scarpa apre le porte di casa, svela i segreti della sua arte e racconta la propria esperienza di...

Si ha la sensazione di entrare prima a piccoli passi nel suo studio. Poi, un po’ alla volta, Tobia Scarpa apre le porte di casa, svela i segreti della sua arte e racconta la propria esperienza di designer, architetto, artigiano.

“L’anima segreta delle cose” è il titolo del docufilm che Studioliz, fondato dai videomker Elisa Pajer ed Elia Romanelli, ha dedicato a Scarpa. Il loro lavoro, durato cinque anni e terminato all’inizio del 2015, è ora diventato anche un libro, edito da Marsilio. Al racconto per immagini si affianca così una narrazione polifonica e appassionata: i giovani registi che entrano nella casa del “maestro”; il professor Valerio Sacchetti che introduce il lavoro e l’evoluzione di Scarpa nel contesto del sistema industriale italiano; l’architetto Elena Brigi che approfondisce nel dettaglio alcune opere; la testimonianza di Luciano Benetton (per il quale Scarpa ha progettato la sede aziendale).

Nel film è lo stesso protagonista a raccontarsi. Nel libro si riporta un suo lungo intervento all’Università di Alghero del maggio 2014. Figlio d’arte, Tobia Scarpa, classe 1935, dimostra fin da giovane di voler tradurre l’eredità del padre Carlo in una missione profonda, dove idee e forme trovano sintesi grazie alla dimensione del progetto. I contatti con i grandi esponenti della cultura veneziana (Vedova, Guidi, Viani, Nono) forgiano il suo pensiero. Le frequentazioni dei laboratori artigiani, a partire dalla vetreria Venini, chiudono il cerchio. Il design di Tobia Scarpa si configura come disciplina filosofica zen, schizzi su foglio bianco che si accompagnano al suono di una campana tibetana. E alla fine sono proprio gli oggetti a parlare per lui: la sedia Pigreco, esposta quando ha appena 25 anni alla Triennale e prodotta da Gavina; Casa Scarpa del 1969, a Trevignano, per vivere il connubio creativo con la moglie Afra; la poltrona “Carlotta” per Cassina (1967); “Biagio” lampada da tavolo in marmo per Flos (1968) dedicata al poeta “Biagio Marin”, la sedia “Libertà” del 1988. Tutto nasce da una ricerca profonda del significato più autentico “delle cose”, da una riflessione attenta ed erudita attorno al ruolo della materia, al significato di bellezza, al senso (segreto?) della vita.

Matteo Marcon

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