Trent'anni all'assassino di Luana

Il massimo della pena per Luca Bedore che ha scelto il rito abbreviato
LUANA E L’OMICIDA Luca Bedore esce dall’ufficio del Gip
LUANA E L’OMICIDA Luca Bedore esce dall’ufficio del Gip
 
CINTO EUGANEO.
All'esterno dell'ufficio del gip i parenti e gli amici urlano più volte «assassino» all'indirizzo di Luca, che china il capo prima di salire sul furgone della polizia penitenziaria che lo riporterà in carcere. Pochi minuti prima, sua madre e suo padre erano usciti piangendo dal portone di contrà Santa Corona. Il giudice Stefano Furlani, dopo un paio d'ore di camera di consiglio, aveva appena letto la sentenza. Luca Bedore, 24 anni, è stato condannato a 30 anni di reclusione.
 E' il massimo della pena, considerando che l'elettricista di Stanghella aveva scelto di essere processato con il rito abbreviato che garantisce uno sconto di un terzo dall'ergastolo. Il giudice ha accolto quasi in toto le richieste del pm Marco Peraro, che aveva sollecitato una pena di 30 anni, escludendo solo l'aggravante della crudeltà. Confermate invece quelle del mezzo insidioso usato per uccidere (il sacchetto di plastica), l'abuso dell'ospitalità e il fatto che la povera Luana non aveva avuto modo di difendersi. E' la sentenza di primo grado per l'omicidio di Noventa Vicentina, avvenuto la sera di Pasqua, il 4 aprile scorso. E' stata una giornata di tensione quella di ieri in tribunale, dopo il rinvio di due settimane fa. All'udienza, iniziata alle 11.30, ha preso parte la mamma della vittima, Luana Bussolotto, la modellista di 27 anni di Cinto Euganeo, mentre all'esterno attendevano gli altri parenti e un gruppetto di amici della ragazza.  L'omicidio, come ha ricostruito la procura, avvenne all'interno dell'appartamento di via Roma, dove la ragazza si era appena trasferita. Dopo il pranzo con alcuni amici, i due ex fidanzati (Luana aveva da poco lasciato Luca) restarono da soli. Lui, compreso che non sarebbe riuscito a farle cambiare idea, le afferrò il collo fra le mani, stordendola ma non uccidendola. La morte avvenne più tardi, per asfissia da confinamento: Luca le infilò in testa un sacchetto di plastica e lo strinse con un canovaccio per non farla più respirare.  E' in sostanza quanto lo stesso giovane aveva confessato la mattina successiva, dopo aver tentato il suicidio, telefonando al Suem. Questa ricostruzione, suffragata anche dalla relazione dei Ris di Parma e da quella dei periti di parte civile, è stata ritenuta corretta dal giudice. Bedore, dopo mesi di ostinato silenzio, aveva parlato due settimane fa davanti al giudice, con a fianco il suo difensore, l'avvocato Michele Pergola: «Fu un incidente. Volevamo fare l'amore, io le strinsi le mani al collo e chiusi gli occhi. La sentii gemere e poi me la ritrovai morta. Il sacchetto lo infilai per non vedere il suo viso, ero sconvolto. Non volevo ucciderla». Una ricostruzione che aveva provocato non poche tensioni fra i familiari di Luana. Ieri, nella sentenza, il giudice ha riconosciuto loro una provvisionale complessiva di 360 mila euro ai genitori, Angelo e Graziosa, i fratelli Damiano e Tania, e sei cognati e nipoti della bella ragazza. L'assassino dovrà pagare anche 17 mila euro di spese legali alla parte civile. Il risarcimento sarà poi quantificato in sede civile. Per il giudice - in attesa di leggere le motivazioni - è verosimile anche il movente ricostruito dagli inquirenti: Luca, non potendo più avere Luana al suo fianco, aveva deciso che non fosse più di nessuno. La fine del loro amore per lui doveva significare anche la fine della loro vita, ma poi, uccisa la ragazza, non trovò la forza e il coraggio di farla finita. Quella mattina Luca chiamò il 118, spiegando di averla strangolata, quindi avvisò suo padre. Forse, se il giovane avesse confessato il delitto la pena di ieri sarebbe stata più mite. Ma per i familiari di Luana non cambia.

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