Trincee, sentieri fortezze: pathos di uomini contro

Le Dolomiti e il Carso, il Pasubio e l’Adamello Le foto di Luca Campigotto a Palazzo Ducale
Di Gianluca Modolo

di Gianluca Modolo

Trincee, camminamenti, gallerie, fortezze, sentieri, postazioni, lapidi, grotte: tracce e memorie fisiche che, a distanza di cento anni, ci raccontano quella guerra, ci svelano un tempo lontano, ci accompagnano alla scoperta delle storie di chi quel conflitto l'ha vissuto sulla propria pelle. Ma per fare tutto ciò, i luoghi hanno bisogno di un'altra memoria, più spirituale e creativa: testi, musiche, opere d'arte e immagini, che siano capaci di farci vedere, o anche solo immaginare, un tempo che non c'è più. Ed è proprio attraverso la potenza delle immagini che il fotografo veneziano Luca Campigotto ha scelto di raccontare i luoghi dello spartiacque tra due epoche: la prima guerra mondiale. In mostra fino al 30 ottobre nella Loggia Foscara di Palazzo Ducale, a Venezia, la mostra "Teatri di guerra - Fotografie di Luca Campigotto" è un percorso suggestivo e drammatico tra quei paesaggi di montagna - brulli, impervi e sempre maestosi - che furono insieme luogo di salvezza e di morte di quel primo grande conflitto mondiale al quale presero parte anche milioni di soldati italiani in quegli anni sanguinosi tra il 1915 e il 1918.

Così gli scatti di Campigotto, esposti per la prima volta a Roma alla presenza del presidente Giorgio Napolitano, in occasione dell'avvio delle commemorazioni deil centenario della Grande Guerra, approdano ora anche in laguna. Ed è la montagna la grande protagonista di questa mostra fotografica - così come lo fu del conflitto stesso - che ha saputo conservare con rispetto in tutto questo tempo i resti e le testimonianze di quella guerra, inutile strage come tutte le guerre. Le Dolomiti e il Carso, l'Adamello e il Pasubio: Campigotto ci porta nelle vecchie baracche, nei rifugi e nelle gallerie, sulle rocce straziate dalle schegge e dalle granate dove si ergono ancora le croci a testimonianza di quella sofferenza o i rotoli di filo spinato abbandonati lungo le trincee e i camminamenti, simbolo di una lotta per la sopravvivenza.

Sono più di semplici fotografie quelle scattate da Campigotto: non ritraggono particolari situazioni o persone, non hanno la presunzione di raccontare nessuna storia. Sono più che altro delle scenografie dove natura e storia si mescolano, restituendoci in un colpo la maestosità di quei teatri di guerra sperduti tra le montagne che si contrappongono alla bruttezza e alla routine di ogni conflitto. Quasi una quarantina gli scatti esposti, alcuni dei quali talmente belli da sembrare dei dipinti. «Dal confine con la Slovenia al lago di Garda i monti corrono istoriati dalle pietre e dai fasciami di legno delle fortificazioni. La roccia traforata delle creste è un merletto disseminato di reperti. Un'archeologia di guerra», annota lo stesso fotografo nel catalogo edito da Silvana.

A corredo della mostra è stata lanciata anche l'app "Teatri di guerra": immagini, video e testimonianze originali della Grande Guerra che rivivono semplicemente inquadrando alcune delle foto esposte. «La montagna è una sorta di fondale epico che riflette il dramma e l'immensa tristezza della guerra», conclude Campigotto «luoghi quasi inaccessibili, che a malapena avevano un nome sulle mappe topografiche, d'un tratto diventano punti di riferimento irrinunciabili, posizioni da cui non si può, non si deve, indietreggiare». Per non dimenticare, anche dopo un secolo.

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