Un «Pollo alle prugne» per un amore impossibile

Una scena del film «Pollo alle prugne», presentato ieri in concorso. Sopra: Jude Law in «Contagion»
Una scena del film «Pollo alle prugne», presentato ieri in concorso. Sopra: Jude Law in «Contagion»
 
VENEZIA.
Il violino di Nasser Ali, il Maestro dei Maestri, si è rotto. Senza il suo strumento si sente perduto, non può più vivere: e allora si lascia morire sul letto. «Pollo alle prugne» è il secondo lungometraggio diretto dall'illustratrice Marjane Satrapì e dal fumettista underground Vincent Paronnaud dopo «Persepolis», il film di animazione tratto dalla famosa graphic novel dell'autrice franco-iraniana.  Questa volta Satrapi e Paronnaud scelgono di raccontare la storia del violinista Nasser usando attori in carne ed ossa, ma non rinunciano alla digressioni animate che si sovrappongono spesso alle immagini reali.  Nei suoi ultimi otto giorni di vita, Nasser Ali (Mathieu Almaric), un Amelie Poulan al maschile, più malinconico ma altrettanto sognatore, ripercorre la sua vita, dall'infanzia al giorno in cui deciderà di smettere di vivere.  Davanti ai suoi occhi sfilano le persone che lo hanno amato. Come la moglie e i figli, Cyrus, buffo e cicciottello e Lili (Chiara Mastroianni da adulta), che in futuro annegherà nel gioco e nell'alcol le sue delusioni d'amore. La madre (Isabella Rossellini) e il fratello Abdi, assennato e responsabile. Ma soprattutto Iran, la figlia dell'orologiaio, il grande amore di Nasser, che il padre di lei ostacolerà sino a farli separare per sempre.  Pollo alle prugne è la storia di questo sentimento impossibile, impresso per sempre sulle corde del violino di Nasser. Quando queste non potranno più vibrare, al protagonista non resta che invocare l'angelo della morte. Il violino rotto non è solo il simbolo dell'amore ormai perduto, ma è anche l'immagine di un paese - l'Iran - che si avvia alla guerra e alla rivoluzione, senza possibilità di ritorno.  Tra suggestioni quasi felliniane, echi espressionisti, e più moderni richiami al cinema visionario e immaginifico di Tim Burton (Big fish) e Jeanne Pier Junet, la coppia di registi disegna un film dalla confezione accattivante, almeno per coloro che amano il cinema un pò glassato come il pollo alle prugne che piace tanto al protagonista.  Decisamente più lisergico, l'altra pellicola in concorso, Alpi del greco Yorgos Lathimos. Un'infermiera, un paramedico, una ginnasta e il suo allenatore hanno creato una società (Alpi) che offre un servizio bizzarro: sostituire persone morte dopo essere stati assunti da parenti, amici e colleghi dei defunti.  Un approccio al tema del trapasso decisamente difficile, per un film dal linguaggio livido e scabro, ambiguo (sembra che anche il rapporto tra l'infermiera e il padre di lei sia il frutto di una sostituzione), che lascia francamente spiazzati. (m.cont.)

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