Vi racconto la mia vita fuori dalle cornici

di NICOLETTA CASTAGNI
Irridente, spiazzante, beffardo, eppure «serio come la morte», Maurizio Cattelan si racconta per la prima volta in un libro-intervista realizzato con Catherine Grenier, storica dell’arte e condirettrice del Museo Nazionale d’Arte Moderna del Centro Pompidou di Parigi.
Refrattario a ogni dichiarazione, l’artista italiano vivente più quotato sul mercato dell’arte affida a queste pagine non solo i ricordi di un’infanzia infelice, gli esordi faticosi, l’avventura americana coronata dal successo, ma ventila anche, a soli 50 anni, la possibilità di andarsene «in pensione» dopo l’attesa, unica retrospettiva inaugurata ieri sera alla galleria Guggenheim di New York.
Intitolato «Un salto nel vuoto. La mia vita fuori dalle cornici», il libro è l’occasione di riflessioni sulla vita e sull’arte, una rilettura di questi primi vent’anni di attività, venata da un filo di amarezza: la convinzione di non essere abbastanza compreso.
«Mi sorprende quando sento dire che sono un artista interessato al mercato. Sono più di dieci anni che non faccio una mostra in galleria. Non dipende certo da me se ogni mio lavoro, una volta consegnato, finisce comunque all’asta», dice l’autore di opere come «la Nona Ora», dove papa Giovanni Paolo II è travolto da un meteorite. O «L.O.V.E.», il dito medio svettante a Piazza Affari, senza dimenticare «Him», l’Hitler bambino inginocchiato, uno delle sue produzioni più dissacranti e contestate.
Aspettando un pieno riconoscimento della critica, come quello che dopo molto tempo è toccato a Piero Manzoni («è difficile accettare le novità e per accettarle bisogna per prima cosa demistificare chi le introduce») e quindi non essere più considerato soprattutto un provocatore, Maurizio Cattelan cerca di fare il punto delle sua vita, non solo artistica.
«Non mi definirei un artista italiano, anche se sono un artista e ovviamente sono italiano. Sono un uomo ossessionato dall’immagine. Lo so, non è un granchè come definizione, però è quella che rende meglio l’idea!».
L’arte, del resto, è stata una vera e propria terapia per il giovane Cattelan, sopravvissuto a un’infanzia di solitudine affettiva, con una madre ammalata, tanti problemi economici, di comunicazione e scolastici.
L’adolescenza non era stata da meno. A 17 anni fa il primo grande passo: se ne va di casa e trova subito un lavoro a tempo pieno in un ospedale padovano, dove fa di tutto, persino i turni all’obitorio, quelli che ancora oggi continua a considerare i meno stressanti. Un rimando continuo tra arte e vita, considerando quanto il tema della morte sia presente nella produzione dell’artista.
Spirito libero, di punto in bianco si licenzia e inizia a interessarsi all’arte, ma non fa scuole, handicap questo solo iniziale, perchè poi è stato la garanzia «di un punto di vista diverso e più libertà d’azione... perchè l’ignoranza a volte rende coraggiosi».
Una creatività che prima si concretizza nel design, con la creazione di mobili, e poi il primo salto da Forlì (dove era andato a vivere) a New York, per tornare a Milano, dove nel 1990 muove i primi passi da artista.
Nella lunga intervista con la Grenier, Cattelan rivive quei giorni, le prime opere che fanno di lui un outsider a tutti gli effetti, da Ac Forniture Sud, con un biliardino lungo 11 metri, alle casseforti svaligiate. Occasioni per sperimentare un metodo di lavoro tutto suo.
«Volevo introdurmi nel sistema, non in modo violento e provocatorio, ma al contrario come fanno i clandestini, sfruttando le sue falle».
Ecco allora la Fondazione Oblomov (1992), il Bel Paese, Lullaby e l’artista padovano più che una presenza nel sistema nazionale dell’arte si trasforma in una mina vagante, come dimostra «Aperto» (il suo stand affittato alla pubblicità di un profumo) alla Biennale di Venezia ’93, invitato da Bonami.
Subito dopo, ecco di nuovo New York, ormai diventata «il centro del mondo dell’arte, la punta della piramide». Qui ricrea nuove relazioni, una diversa progettualità e quell’attenzione all’immagine che ancora oggi è il suo elemento distintivo.
Aspetta sette anni, fino al 2000, ed è il successo, tanto clamoroso quanto inaspettato,che corona uno sforzo esemplare, ritmato da contatti con gallerie ed espositori, relazioni (a volte anche tempestose) con altri artisti internazionali.
Il risultato sono le molte opere prodotte, nella quasi totalità finite nelle collezioni più prestigiose di mezzo mondo.
Il padovano Cattelan, in attesa di decidere se questo pre-pensionamento lo vuole davvero vivere, ha accettato di riprendere in mano la sua migliore produzione, per regalare al Guggenheim Museum di Manhattan, la sua prima retrospettiva ufficiale.
Poi, per rifuggire il rischio di ripetersi, rivendica, ipotizzando una prematura pensione, «la possibilità di rinegoziare il mio posto nel mondo dell’arte, nella società».
Catherine Grenier - Un salto nel vuoto. La mia vita fuori dalle cornici (Rizzoli, pp.154, 18 euro)
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