Addio a Cappello, il poeta che donò leggerezza al dolore

Ha fatto della sua vita, segnata da un grave incidente, un volo straordinario e divenne il personaggio che il Friuli aspettava, come nella profezia di Pasolini
21/09/2013 Pordenone - Manifestazione letteraria Pordenonelegge, nella foto Pierluigi Cappello - Poeta
21/09/2013 Pordenone - Manifestazione letteraria Pordenonelegge, nella foto Pierluigi Cappello - Poeta
Il grande cuore di Pierluigi Cappello si è fermato all’alba di una dolce domenica di ottobre, in un’ora e dentro un paesaggio non casuali. La sua casa è coccolata dal castello di Cassacco, Udine. Poco lontano c’è il campanile della parrocchiale: insolito, di stile quasi toscano, progettato nel 1926 dal parroco di allora. Elementi fisici di un piccolo mondo friulano che disegnava da qualche anno l’orizzonte attorno a Pierluigi, completato in casa dagli scaffali nei quali aveva strategicamente collocato i 5 mila libri mentre nella stanza accanto aveva esposto gli amatissimi modellini d’aereo, riproduzioni dei velivoli che avrebbe voluto pilotare quando da ragazzo si era iscritto alla sezione aeronautici del Malignani di Udine. Pierluigi non ha potuto farlo: il suo sogno si è interrotto con il terribile incidente stradale del settembre 1983 che gli ha spalancato il baratro di un continente ignoto, come ci ha raccontato nel romanzo “Questa libertà”. Ha così trasformato la sua vita in uno straordinario volo, fatto di immense sofferenze, come sa chi gli è stato vicino, e di lucidissime intuizioni, narrate attraverso la poesia e la scrittura, unendole alla gentilezza di un animo buono, dotato dell’umiltà per saper cogliere e capire quanto accade attorno.


Aveva solo cinquant’anni; fino al momento estremo, e certo anche oltre, ha continuato a immaginare, a pensare, a scrivere. Gli ultimi versi lasciati risalgono a una quindicina di giorni fa e si uniscono ad altre poesie nate in questi mesi così difficili, tra ricoveri, interventi chirurgici, un’altalena di speranze e di diagnosi, di cure pesantissime per debellare il male che poi è passato con l’ennesimo, brutale assalto. Anche di fronte alla prospettiva di dover a un certo punto perdere, Pierluigi non si è fatto trovare impreparato e così, per tempo, ci ha detto dov’è ora. Basta leggere la breve poesia che chiude l’ultima raccolta, “Stato di quiete”, apparsa nel 2016. Adesso è “in una capanna di sassi, rami e foglie: un cuore di parole, lontano dal mondo, al centro delle cose, nel punto più profondo”. Tutto il volo, fin dal giorno dell’incidente, aveva come obiettivo la costruzione di quella esile capanna. E ci è riuscito. Sappiamo che adesso lui è lì, con un pacchetto di sigarette e le preziose Moleskine sulle quali scrivere, prendere appunti, raccontarci com’è questo mondo affascinante, meraviglioso, doloroso, disumano, attraente, che si chiama vita.


In un libretto apparso nel 1989, il suo primo, stampato in Carnia e che in seguito non ha mai ufficialmente riconosciuto, c’è una dichiarazione poetica che spiega il percorso che questo ragazzo, così duramente colpito, cercava di darsi. Diceva nei versi intitolati “Poeta”: “Serberò / brandelli di solitudine / per coltivare/ parole vive / e germogli d’inchiostro / in campi vergini / di carta”. Era l’inizio d’una ricerca che passò attraverso anni e anni di dedizione allo studio della tradizione poetica, del canone, della filologia, con tutto ciò che poteva irrobustire e dare slancio al progetto di volo.


L’approdo iniziale fu una piccola raccolta, “Le nebbie”, pubblicata da Campanotto a fine 1993, la prima che il poeta ammise nella sua bibliografia. Il debutto avvenne nel chiostro delle Grazie a Udine e a tenere a battesimo Cappello furono Mario Turello e Maria Tore Barbina.


A quel punto, il poeta, che aveva allora poco più di 25 anni, rafforzò le proprie convinzioni, non si sentì più solo, venendo agevolato da un fatto ancora poco analizzato e capito. Gli anni Novanta rappresentano una fase fervida per la poesia e la letteratura in Friuli, perché nasce una vera comunità grazie a una serie di motivi pure slegati fra loro: ci sono i nomi già noti, una sorta di vecchia guardia (Sgorlon, Giacomini, Bartolini, Cantarutti, Zanier, Maniacco), c’è chi è spuntato clamorosamente sulla scena, come Maurensig (che diventa amico ed estimatore del giovane poeta), ci sono gli autori al debutto con i loro libri (Tavan, Cappello, Villalta, Garlini, Santi, accanto ad altri che riappaiono come Vallerugo o Valentinis). In questa situazione accesa, in cui la letteratura friulana respira e si rinnova, andando oltre paure e pregiudizi, Cappello diventa una pop-star, la punta di diamante, il ragazzo di genio o come si vuole definirlo: amatissimo da tutti anche per il fatto di scrivere in italiano e in friulano, per il suo piglio organizzativo e l’impegno pedagogico. Ebbe un punto di riferimento eccezionale, colto e generoso, nonostante l’apparente ruvidezza. Ancora non è stato detto e riconosciuto fino in fondo il merito che spetta ad Amedeo Giacomini nell’aver aiutato questo movimento capace di catturare fuori di qui l’attenzione di critici ed editori come Franco Loi, Anna De Simone, Nicola Crocetti. Non a caso fu il vecchio maestro, assieme a Cappello, Giulia Calligaro e Ida Vallerugo, a fondare “La barca di Babele”, collana di poesia alla base di tanti esiti fioriti dopo. A un certo momento Cappello raccolse il testimone per organizzare, ai Colonos di Federico Rossi, la giornata-evento che è la testimonianza più straordinaria su quanto succedeva allora e inventò la maratona dell’11 settembre 2005 quando all’appello si presentarono 22 poeti.


Pierluigi divenne il personaggio che il Friuli aspettava, ricordando un’antica profezia di Pasolini: colui che dava slancio al nostro piccolo ambiente, cancellando titubanze, sudditanze, scontrosità varie. Le raccolte pubblicate da Nicola Crocetti lo portarono a vincere nel 2010 il premio Viareggio, a cui seguì una fase intensa con il romanzo “Questa libertà”, il film di Francesca Archibugi, le interviste sui giornali nazionali, la collaborazione con Jovanotti, i premi, il premio Terzani, le apparizioni ai festival letterari e altri aspetti d’una notorietà mediatica, come raramente capita ai poeti.


Fino a ieri era così, oggi invece è il momento improvviso del distacco e del dolore, ma un nuovo incontro può cominciare adesso, perché le pagine di Pierluigi vanno riaperte, lette, capite. Riguardano lui e tutti noi.


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