Addio a Robert Miles, papà di “Children”

Quattro note in lenta successione possono cambiarti lo stato d’animo.
Quattro note come un mantra, ripetute e rigirate, vestite di suono e di ritmo sempre più incalzante: “Children” è stato il più grande successo dance della metà degli anni Novanta. È il pezzo che ha aperto un mondo nuovo nelle discoteche, nelle feste, nelle radio, nelle camere di ragazzi sognanti. Perché intorno a quelle note languide di Robert Miles ci potevi costruire il tuo mondo, ti accompagnavano nella profondità di un sentimento nuovo: la voglia di ballare, il desiderio di urlare, il bisogno di sentirsi amati. Una lacrima e un pugno insieme, un bacio e il suo addio.
Robert Miles è morto di tumore a 47 anni: un friulano ma svizzero di nascita, disc jockey pronto a girare l’Europa con i suoi vinili, capace di vendere milioni di dischi con “Dreamland”, l’album della sua “Children” (cinque milioni di singoli): molti premi, molti soldi, molta fama tutta insieme. È morto a Ibiza, Spagna, lì dove da qualche anno aveva deciso di trasferirsi, nella patria riconosciuta delle discoteche europee.
Il suo nome all’anagrafe era Roberto Concina, ma si sa che nella dance il nome d’arte anglosassone da qualche decennio è d’obbligo. “Children” ha sfondato ovunque nel mondo, tra il 1995 e il 1996. Robert Miles ha vinto anche un Brit Award, gli Oscar della musica inglesi, e tuttora è l’unico italiano ad esserci riuscito.
Ma quello che davvero ha saputo cambiare “Children”, è il modo di concepire la musica ritmata del movimento del corpo (banalmente detto ballo, se preferite). Da quel momento in poi non è più vero che ci vuole gioia sonora per muoversi, non è più vero che servono aperture musicali in maggiore e nemmeno costumi o facce sorridenti per un’estetica dello stare bene.
“Children” sembra una spina nel cuore, ha la capacità di scatenare emozioni incrociate e comunque è difficile definirla “allegra”. Sembra piuttosto un inno doloroso, sembra la colonna sonora di un esercito che non ha patria, che fugge da un conflitto e che nonostante tutto sta in piedi, cerca la sua strada: una meravigliosa metafora della fine degli anni Novanta, quando la felicità distribuita a fette degli anni Ottanta comincia a essere un ricordo pesante da cui è difficile liberarsi. E pur non avendo parole, ha un titolo evocativo: “Children”, bambini del mondo, nuove creature con un passato ingestibile e un futuro che non ci sorride più.
Per tutti i disc jockey e produttori musicali del Nordest, terra in cui la dance ha dato più frutti che la musica pop tradizionale, Robert Miles è stato un punto di riferimento. Le armonie trance escono dai confini della nicchia dei “digei” nordici e cominciano a farsi ascoltare nelle radio. Anche la canzone italiana pop radio, di lì a poco, prenderà ampi spunti da questo gioco di poche note ripetute.
Nella giornata di ieri molti noti disc jockey hanno ricordato la figura di questo artista visionario: Joe T. Vannelli (che lo ha prodotto con la sua etichetta discografica) ha scritto: «Mi mancheranno i litigi, le risse, le critiche, i giudizi ma soprattutto il tuo talento nel trovare suoni e melodie impareggiabili» e Mario Fargetta ha ricordato: «Sono stato il primo a suonare la tua “Children” a Radio Deejay». La notizia della sua scomparsa è stata data da tutte le grandi testate giornalistiche europee.
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