Ascesa e caduta della Serenissima la grande storia in un nuovo volume

Realizzato a più mani racconta la Repubblica Veneta esempio di oligarchia saggia nell’epoca delle monarchie
Leonardo Loredano, Doge of the Republic of Venice, 1436 - 1521 by Giovanni Bellini From The World´s Greatest Paintings, published by Odhams Press, Lo...
Leonardo Loredano, Doge of the Republic of Venice, 1436 - 1521 by Giovanni Bellini From The World´s Greatest Paintings, published by Odhams Press, Lo...

Ernesto BRUNETTA

Di storie della Repubblica Veneta ne sono state scritte molte ed è spontaneo quindi chiedersi perché si sia sentita l’esigenza di scriverne un’altra. Leggendo il volume, la risposta è semplice: per storicizzare la vicenda di Venezia, per vedere cioè quali siano state le condizioni che ne hanno favorito quella crescita che toccò l’apice nel XIII secolo e, al contrario, verificare quali siano state le condizioni che ne hanno favorito la caduta.

la via dell’oriente

Il merito imperituro della Serenissima è l’aver aperto con le proprie navi la via dell’Oriente, così monopolizzando, o quasi, il traffico dei cosiddetti coloniali, cioè delle spezie, delle sete, delle perle che non si trovavano in Occidente. Così facendo, Venezia costituì per secoli l’antemurale prima nei confronti di Bisanzio e, dopo il 1453, dei turchi che a più riprese tentarono, attraverso i Balcani, di penetrare in Italia. Inoltre, mentre ovunque fiorivano le monarchie assolute, Venezia conservò un sistema di elezioni, sebbene limitato ai membri del proprio patriziato. Si trattava di un’oligarchia saggia che riuscì a infrenare le acque dei fiumi onde la laguna non si interrasse, fece dell’Arsenale la più grande industria d’Europa e mantenne, sia pur tra alterne vicende, i rapporti con la Chiesa sul piano di una non supina subalternità.

Destino Segnato

Quando Colombo scoprì l’America, Vasco de Gama circumnavigò l’Africa e i fratelli Caboto si spinsero entro i fiumi del Nord America, il destino di Venezia era già segnato, benché proprio in quel secolo Venezia si affermasse come uno dei maggiori centri internazionali dei commerci e dell’arte, vantando personalità quali Palladio e Longhena, Tiziano, Giorgione e Tintoretto, nonché affermandosi nelle arti cosiddette minori, dall’oreficeria alla tessitura. Suo ulteriore merito fu l’aver capito la situazione e l’aver puntato sulla terraferma veneta come fonte di rendite agrarie e come cintura di sicurezza. Sicché si può dire che con il XVI secolo Venezia abbia abbandonato il mare e sostanzialmente scelto la terraferma.

la terraferma

Il libro infatti si occupa anche dei rapporti tra Venezia e le città della terraferma, rapporti che non sempre furono così pacifici come certa storiografia ama descrivere. Se infatti Treviso, Vicenza e Belluno si diedero pacificamente barattando la loro libertà con la sicurezza che veniva dalla protezione della grande Repubblica, Padova e Verona resistettero e accettarono la dominazione veneziana solo dopo aver aspramente combattuto. Infatti la nobiltà di quelle città, esclusa dal governo della Dominante, al tempo della guerra della Lega di Cambrai non esitò a schierarsi contro Venezia, difesa invece dalle masse rurali non certo ansiose di tornare al meccanismo feudale.

L’autonomia

Va peraltro affermato con assoluta sicurezza che Venezia considerò la terraferma come una colonia escludendo dal governo della Repubblica quanti non fossero iscritti all’Albo d’Oro delle nobiltà veneziana. In compenso, a ogni singola città venne conservata una limitata autonomia onde la nobiltà continuasse ad aver peso nei consigli cittadini, sottoposti comunque alle direttive del Podestà veneziano.

Il declino

Nel XVIII secolo Venezia era un reliquato di altri tempi, e questo ne spiega la caduta che era inevitabile perché a fronte della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, i suoi ordinamenti erano obsoleti e superati. Napoleone fu solo uno strumento della storia che comunque sarebbe proceduta nel senso in cui procedette. Tanto è vero che la Repubblica si sciolse per voto del Gran Consiglio, sia pur condizionato dalla presenza del Corso nel territorio della Repubblica medesima. Si tratta di un volume a più mani in cui ogni autore – Alessandra Artale, Maria Beatrice Autizi, Antonio Sirena, Lorenzo Somma, Roberto Robazza, Alberto Toso Fei e Piero Zanatta – ha portato la sua specializzazione o come cultore di storia locale, o come specialista di un settore delle arti e/o del costume. In qualità di curatore ho coordinato i diversi interventi tracciando le linee della storia generale, e occupandomi di alcune storie particolari. Un importante apparato iconografico, ricco di incisioni d’epoca, immagini storiche e dipinti d’autore documenta il contenuto del volume. —



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