Auguri a Terence Hill ottant’anni di fama dai western a Don Matteo

ROMA. Pugilato, ginnastica artistica e la Roma sono le sue passioni. Registrato all’anagrafe come Mario Girotti è nato il 29 marzo casualmente a Venezia nel 1939 da padre chimico (originario di Amelia) e da madre tedesca: auguri Terence Hill, l’uomo dagli occhi di ghiaccio e dal fisico che sembra non invecchiare mai, che domani spegne 80 candeline. Tantissimi i suoi personaggi: da quando iniziò a recitare in una serie di fortunati spaghetti western alla fine degli anni ’60, fino al rinnovato successo nei panni di “Don Matteo”, non ha mai smesso di essere una figura centrale nell’immaginario collettivo italiano, un’icona della cultura popolare. Non solo in Italia.
Per mantenersi agli studi (liceo e poi Lettere all’Università di Roma) e poter correre in moto, accettò di recitare nonostante una iniziale ritrosia per la sua timidezza. Dino Risi lo aveva notato, ad appena 12 anni durante una gara di nuoto, e lo aveva fatto debuttare in “Vacanze con gangster”. Oltre un film all’anno, diretto dai più grandi registi. Deve la sua notorietà al filone comico del western-spaghetti e alle fiction televisive, ma in gioventù ebbe maestri come Pabst e Pontecorvo. Nonostante tutto non andava fiero dei suoi successi, finché Luchino Visconti non lo volle per la parte del Tenente Cavriaghi nel “Gattopardo” (1962). Cinque anni dopo, entrava nel mondo del western-spaghetti con “Dio perdona, io no” e sceglieva il suo nome d’arte (perché «suonava bene e aveva le stesse iniziali di mia madre»), nonché la moglie Lori Zwicklbauer, allora segretaria di edizione. Nel 1970 “Lo chiamavano Trinità” vede il varo della coppia con Bud Spencer (18 film). Il resto è storia. —
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