Battistelli: «Richard III, metafora sul potere»

VENEZIA. Il compositore Giorgio Battistelli è sempre più protagonista della scena musicale italiana. Di recente su Rai5 lo si è visto dirigere “Experimentum mundi”, il singolare, originalissimo lavoro che lo rivelò. Classica HD di Sky ha rimandato un ampio servizio su “CO2”, l’opera che gli fu commissionata dall’Expo milanese. Per il 29 giugno è annunciata alla Fenice di Venezia la prima italiana di “Richard III”, il dramma musicale in due atti, su libretto tratto da Ian Burton dall’omonima tragedia di Shakespeare, che gli è stato richiesto dall’Opera Vlaandern di Anversa dove ha debuttato nell’allestimento che sarà ripreso a Venezia. La prima è prevista per il 29 alle 19. Le repliche saranno l’1, 3, 5 e 7 luglio. Sul podio Tito Ceccherini.
Battistelli, anni di direzione di Biennale Musica, la prima italiana di “Napoli milionaria” al Malibran. C’è un suo rapporto speciale con Venezia e con il Teatro la Fenice?
«Direi proprio di sì. Quando Bernabè mi invitò a dirigere la Biennale accettai con entusiasmo di fare un’esperienza che per me è tuttora indimenticabile. È curioso che poi io non sia mai stato invitato come autore alla Biennale. Con il Teatro invece il rapporto è davvero straordinario. Pensavo che, dopo “Napoli milionaria”, sarebbe trascorso del tempo prima di poter tornare. Fui dunque estremamente sorpreso quando mi telefonò Fortunato Ortombina. Aveva appena terminato la lettura al pianoforte di “Richard III” e mi chiedeva di inserirlo in stagione. Che volere di più da un sovrintendente? E si badi bene che si tratta di un importante sforzo produttivo, grandi quadri di guerra, numerosi personaggi».
Con il librettista Ian Burton, come avete lavorato sul testo shakespeariano?
«Voglio confessare una cosa. Quando Anversa manifestò l’intenzione di commissionarmi una nuova opera, il sovrintendente di allora mi propose una biografia di Rudolf Nureyev e fu dato l’incarico di redigere un testo a Burton. Lo ebbi tra le mani e lo rilessi molte volte ma, pur condividendo l’idea che il tema fosse affascinante e apprezzando la qualità letteraria di Burton, non riuscivo a convincermi della sua efficacia drammaturgica. Espressi le mie perplessità. Mi si chiese una controproposta. Dissi “Richard III” e tutti furono entusiasti. Il lavoro iniziò così. Decidemmo di rispettare l’inglese di Shakespeare, citandolo letteralmente tutte le volte che fosse possibile».
Poi si è aggiunto un regista di grande fama internazionale come Robert Carsen.
«Un rapporto bellissimo, il nostro. Sto per scrivere la mia 34esima opera e devo dire che è il primo regista che ho visto girare per tutto il tempo con la partitura sotto il braccio e far scaturire direttamente dai tempi musicali ogni mossa, ogni entrata degli interpreti. Scrupolosissimo. Mi convocò d’urgenza ad Anversa. Ad un certo punto il coro non aveva il tempo per uscire. Chiedeva il permesso di poter fare il ritornello di sei battute. Alla fine è stato un successo e l’opera è già stata ospitata in sei teatri europei».
Richard III è forse il più perfido dei personaggi shakespeariani. È malvagio perché deforme o per brama di potere?
«Le due cose si compenetrano. Le donne che seduce subiscono il fascino del potere e dell’orrore e alla fine, sconfitto, Riccardo si umanizza nel celebro urlo “Il mio regno per un cavallo”. In tutto il suo teatro Shakespeare ha un ritmo narrativo che suggerisce la musica e il suo linguaggio immaginifico, quasi onirico, rinvia a infinite simbologie. Ecco perché il mio intento è stato pensare ad una grande metafora sul potere».
A che cosa sta lavorando in questo momento?
«Sto lavorando con Stefano Massini, che stimo moltissimo, per mettere in musica il suo “Sette minuti”, che ha già avuto fortuna in teatro con Ottavia Piccolo e al cinema con la regia di Michele Placido. Si ispira ad un fatto davvero accaduto in Francia a operaie tessili. Scriverò per undici soprani».
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