Bellini e Mantegna, una linfa vitale tra i tesori della Querini Stampalia

VENEZIA
Domenica sera, alle 18, si spegneranno le luci puntate - con diverse potenze, per equilibrare al meglio la visione - sui due dipinti. Martedì prossimo, uno dei due gioielli lascerà per sempre Venezia e l’altro lo seguirà a breve, richiesto per nove mesi a completare una mostra che sarà in tour tra Londra e Berlino. Chiude “Bellini e Mantegna. Capolavori a confronto”, che alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia per tre mesi e mezzo ha offerto l’occasione, senza precedenti in epoca moderna, di vedere affiancate le due versioni della “Presentazione al Tempio” eseguite dai due artisti. Una mostra che ha messo al centro dell’attenzione della critica e del pubblico due capolavori, ma anche lo scrigno che le ha accolte nel minimale e seducente allestimento curato da Mario Botta.
L’importanza della mostra si può giudicare, volendo, da un solo dato: se il Bellini - per l’occasione studiato, radiografato, esaminato, ricostruito nei dettagli critici e di attribuzione da uno studioso quale è Giovanni Carlo Federico Villa - appartiene alla Querini, il Mantegna non lasciava la Gemäldegalerie di Berlino dal 1961, per la sua delicatezza strutturale, tempera su tela dove la tela, in effetti, ha la fragilità della garza.
Raggiungere questo risultato - portarlo a Venezia, portarlo al confronto - è stato possibile grazie alla passione e alla tenacia della direttrice della Fondazione, Marigusta Lazzari, alle relazioni intessute con Berlino, e con Londra dove ora si svolgerà la mostra nella quale figurerà anche il Bellini veneziano.
«Indubbiamente, con i curatori Brigit Blass-Simmen, Neville Rowley e Giovanni Villa si è creato un rapporto molto bello, una vera alchimia» dice la direttrice. «La risposta del pubblico è stata più che positiva, e questo va a beneficio di tutta la Fondazione».
L’operazione avviene in un momento importante: nel 2019 la Querini celebrerà i suoi 150 anni, poiché è del 1869 il lascito dell’illuminato ultimo erede della dinastia Querini Stampalia, quel Giovanni che lasciò tutti i suoi averi a beneficio pubblico. A fare da ponte verso questa scadenza, alla cui celebrazione già lavorano il presidente Marino Cortese e la direttrice Lazzari, ci sarà una nuova, importante mostra, attesa da novembre.
«Presenteremo al pubblico per la prima volta i beni che la Fondazione ha ricevuto in affidamento pluriennale dalla Carive» spiega Lazzari. «Opere d’arte tra cui spiccano due Canaletto, poi Tiepolo e Tintoretto, e Arturo Martini al quale sarà dedicata una intera stanza. E poi si saranno gli arredi originali degli uffici della banca,e lo straordinario fondo librario di duemila volumi, che fanno parte dell’affidamento ed entreranno in sinergia con il patrimonio Querini».
L’allestimento sarà curato dall’architetto Michele De Lucchi, la cui firma nella casa dei Querini Stampalia andrà ad aggiungersi a quelle di Carlo Scarpa e di Mario Botta. I lavori, sospesi durante la mostra delle Presentazioni per evitare vibrazioni e polveri, riprenderanno a giorni.
Poi, si penserà a come utilizzare l’altro imponente fondo frutto di una recente donazione, l’intero archivio fotografico Arici: un milione e 200 mila immagini.
Intanto, la direttrice continua con un’operazione che le sta molto a cuore: diffondere cultura sulla Querini Stampalia, organizzando incontri con gruppi e associazioni. Grazie a questo intervento, nei tre mesi della mostra i gruppi che hanno visitato la Fondazione sono stati 90, contro i 18 dell’intero anno precedente. «Far conoscere il valore di questo museo è fondamentale» dice Lazzari.
Qui si respira una autentica Venezia del passato, qui si celebra un matrimonio perfetto fra storia e contemporaneo.
È un bene prezioso, ma costoso da mantenere: servirebbero sponsor e sostegni, come ricorda il presidente Cortese. Il quale, una volta, raccontando al pubblico di una conferenza la storia del lascito di Giovanni Querini Stampalia fatto della casa, delle collezioni, dei tanti terreni, gli affiancò la figura di un usciere che aveva lavorato per molti anni nel museo. Morendo senza eredi, aveva lasciato la sua piccola casa alla Fondazione: al bene della collettività, e alla sopravvivenza del bello, aveva pensato anche lui. —
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