«Cosa ho trovato di Michelangelo in quel Crocifisso»

di Marina Grasso
Dopo aver suscitato grande scetticismo con l’annuncio di aver ritrovato la Crocifissione eseguita da Michelangelo Buonarroti per Vittoria Colonna che si riteneva perduta o mai eseguita, Lionello Puppi dedica all’opera un articolato saggio sulla rivista “Humanistica”, pubblicata a Parigi dal più importante editore italiano di studi accademici. Perché l’incredulità dei più non ha minimamente scalfito la curiosità intellettuale di uno dei più qualificati storici dell’Arte italiani, professore emerito dell’Università di Venezia, autore di migliaia di pubblicazioni dedicate soprattutto al Rinascimento e alle problematiche storiche e metodologiche dell’Arte. Un’autentica autorità, insomma, che non dovrebbe avvertire la necessità di pubblicizzarsi con annunci clamorosi. E che, infatti, spiega in tutto un altro modo il suo convincimento.
Professor Puppi, perché tornare a riaccendere i riflettori sul quel Crocifisso, se un anno fa quell’attribuzione suscitò molte perplessità?
«Anzitutto perché non ho mai smesso di interessarmi ad esso e perché continuerò a farlo. E poi perché sono molto consapevole dei rischi che la ricerca comporta. L’importante è non spaventarsi e continuare a cercare».
Anche se al suo annuncio fu, più o meno velatamente, attribuita un’attitudine commerciale?
«Questo accadde perché decisi di esporre il Crocifisso, una tempera magra su tavola, durante le due ultime settimane di apertura della mostra dedicata a El Greco, da me curata e realizzata a Treviso tra l’ottobre 2015 e l’aprile 2016, una sezione della quale prevedeva un’illustrazione delle matrici dell’iconografia del crocifisso. Conoscendo indirettamente questa tavoletta già attribuita alla generica Scuola michelangiolesca, chiesi alla proprietà di poterla studiare a fondo e, stupefatto da molti elementi emersi dalle mie prime ricerche tecniche, stilistiche e documentali, la chiesi in prestito per poterla esporre affinché studiosi e pubblico prendessero diretta e autentica conoscenza di un’opera che altrimenti, nell’esclusiva mediazione di riproduzioni fotografiche, si sarebbe prestata a giudizi sbrigativi».
Quindi con l’esposizione alla mostra voleva anche aprire un confronto?
«Certo. Avrei potuto stare zitto e pubblicare l’esito della mia ricerca in una delle riviste a quasi esclusivo beneficio degli addetti ai lavori che accolgono i miei studi, ma ho voluto invece portare all’attenzione pubblica un’opera estremamente interessante, favorendone la visione diretta».
Ed è stato equivocato.
«Le trovate sensazionali fioriscono con una certa facilità, in una sorta di perfida corsa alla visibilità. Quindi, anche se mi ha amareggiato, capisco la diffidenza. Anche perché i sensazionalismi sono dannosi all’informazione scientifica seria e fondata, così come alla ricerca continua che conduco da più di sessant’anni».
Vittorio Sgarbi in quell’occasione affermò che lei è stato vittima di una seduzione che ha toccato molti studiosi.
«Sgarbi fu cauto e gentile. Altri colleghi mi hanno riservato sentenze molto meno cortesi. Ed è vero che su questo Crocifisso, realizzazione pittorica del disegno a carboncino conservato al British Museum, si è spesso favoleggiato; così com’è vero che il disegno ha sedotto numerosi autori che ne hanno realizzato un buon numero di copie. Ma ho studiato Michelangelo abbastanza da poter riconoscere i suoi colori fluidi distesi con piccolo pennello minuziosamente sul corpo del Cristo e l’andamento ben più largo del tocco nel realizzare il cielo».
Lo studio appena pubblicato conferma che non si è scoraggiato, nonostante le reazioni raccolte.
«Sa qual è stata la prima reazione che incassai, appena laureato, dal direttore della Biblioteca Bertoliana di Vicenza, quando gli annunciai di aver ritrovato una lettera di Michelangelo? Diciamo che mi disse di non rompergli le scatole, per usare un eufemismo. E se non mi scoraggiai allora, sono difficilmente scoraggiabile oggi».
In effetti, la lettera è poi divenuta un fiore all’occhiello dei fondi della biblioteca. Ma sul Crocifisso, ha quindi acquisito nuovi elementi che avvalorano la sua tesi?
«Grazie al paleografo Massimiliano Bassetti, abbiamo ottenuto alcune informazioni sulle dieci righe d’iscrizione sul retro della tavola, così corrosa da rendere irrecuperabile il testo del messaggio: la grafia è quella in uso a partire dalla seconda metà del XV secolo, i segni sono stati tracciati molto accuratamente e le ultime due righe sembrano incoerenti con l’andamento precedente. Grazie alla luce ultravioletta possiamo leggere ‘de propri mano pensit (…) Mich(…), nell’ultima riga, mentre “Mich” si legge anche nella penultima e nella terz’ultima si legge “del dono suo”’, assieme ad altri piccoli frammenti di parole. Non è fantasioso immaginare il testo come una sorta di memoria lapidaria delle circostanze e delle ragioni del dipinto sul dritto della tavola».
I prossimi passi per una sempre più certa attribuzione quali saranno?
«Andrò a consultare l’edizione originale dei due testamenti di Vittoria Colonna, all’Archivio di Stato di Roma, perché ne ho potuto vedere solo le trascrizioni nel fondo archivistico della famiglia, custodito nel Monastero di S. Scolastica a Subiaco. Ritengo che lì potrei trovare qualche nuovo indizio sull’immenso patrimonio ereditato da suo fratello Ascanio che, poiché detenuto al momento della morte della sorella, non poté occuparsi personalmente del trasferimento dei beni mobili di Vittoria, tra cui sono convinto vi fosse la “pictura” del Crocifisso michelangiolesco, come indica la corrispondenza tra l’artista e la nobildonna».
Scenari storici che si sovrappongono agli indizi artistici, quindi?
«La ricerca è fatta così, e per definizione non finisce mai…».
E come risponde a chi, circa le attribuzioni, afferma che “La mamma dei Caravaggio è sempre incinta”?
«Con questo titolo Tomaso Montanari ha pubblicato un divertente libro sulla ‘bufala figurativa’ che troppe volte si spaccia per scoperta sensazionale. Ma posso assicurare, e non solo per raggiunti limiti d’età ma anche perché i miei molti anni li ho impegnati a studiare con grande coscienziosità, che se la mamma dei Caravaggio è incinta, non sono stato io».
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