È morta Marisa Merz, Leone d’oro Fu l’unica donna dell’Arte Povera

Moglie di Mario Merz non fu mai inclusa nel gruppo Presenza importante alla Biennale che la premiò e la ricorda
Premiazioni Biennale Arte 55??: Leone d'Oro alla Carriera: da sx a dx: il direttore del settore Arti Visive della Biennale Massimiliano Gioni, Marisa Merz, Leone d'Oro alla Carriera, e il presidente della Biennale Paolo Baratta posano durante la cerimonia di premiazione, 1 giugno 2013, ai giardini della Biennale. ANSA/ANDREA MEROLA
Premiazioni Biennale Arte 55??: Leone d'Oro alla Carriera: da sx a dx: il direttore del settore Arti Visive della Biennale Massimiliano Gioni, Marisa Merz, Leone d'Oro alla Carriera, e il presidente della Biennale Paolo Baratta posano durante la cerimonia di premiazione, 1 giugno 2013, ai giardini della Biennale. ANSA/ANDREA MEROLA

TORINO. È morta Marisa Merz, artista torinese di fama internazionale, considerata l’unica donna esponente della corrente dell’Arte Povera, gruppo nel quale non fu inclusa e dal quale mantenne un certo distacco. Aveva 93 anni.

Moglie di Mario Merz, compagno di vita e di lavoro, e madre di Beatrice, presidente della Fondazione Merz, esordisce negli anni Sessanta esponendo a Torino lavori che anticipano il suo ingresso nel movimento dell’Arte Povera. Sono sculture di lamine di alluminio mobili e irregolari e fragili tessiture di nylon e filo di rame, che oppongono al rigore del minimalismo un’immagine enigmatica, aerea. Nel 1967 partecipa alla prima mostra dell’Arte Povera, curata dal teorico della corrente Germano Celant, alla Galleria La Bertesca di Genova e poi riproposta all’Ica di Londra, a Berna e ad Amalfi: tra i partecipanti ci sono Giuseppe Penone, Giulio Paolini, Alighiero Boetti, Luciano Fabro, Gilberto Zorio, Jannis Kounellis, Emilio Prini, Michelangelo Pistoletto, Pierpaolo Calzolari. Nella collettiva “Arte Povera + Azioni Povere” ad Amalfi del 1968 Marisa Merz espone sulla spiaggia coperte arrotolate e imballate con filo di rame o scotch (Senza Titolo, 1966), e opere legate all’infanzia della figlia Beatrice fatte di filo di nylon, rame o lana. Con queste opere introduce nel linguaggio della scultura tecniche considerate artigianali, dando così dignità «artistica» a materiali e pratiche usualmente considerati poveri.

Intorno agli anni Settanta la ricerca di Marisa Merz, rispetto alla corrente dell’Arte Povera, diventa più eccentrica: l’artista raccoglie, combina e ridefinisce proprie opere precedenti come “Ad occhi chiusi gli occhi sono straordinariamente aperti” (1975), che intitola la seconda personale all’Attico accostando le sculture in filo di rame, la “Scodella di sale” (1967), “Bea e Scarpette” (1968).

Dalla metà degli anni Settanta gli interventi di Merz acquistano un carattere compiutamente ambientale, con la serie di stanze che l’artista allestisce in spazi complementari: quello aperto e pubblico della galleria o quello sotterraneo e segreto di una cantina o del proprio studio.

Presente alla Biennale di Venezia nel 1980, partecipa a Documenta a Kassel nel 1982 ed espone in numerose personali e collettive in Italia ed Europa. Tra il 2017 e il 2018 realizza una mostra itinerante inaugurata al Metropolitan Museum di New York. Nel 2013 la Biennale di Venezia le ha conferito il Leone d’Oro alla carriera. E cordoglio e ricordo sono stati espressi in una nota dal presidente Paolo Baratta, a nome proprio e della Biennale di Venezia.

Baratta ricorda «Marisa Merz, figura importante dell’arte contemporanea mondiale, che fu presente fin dal 1976 e poi per altre cinque volte alla Biennale Arte, e alla quale assegnammo il Leone d’oro alla carriera nel 2013. A lei va il nostro affettuoso ricordo, anche personale, e tutta la nostra gratitudine». —

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