È morto Tobe Hooper, firmò l’orrore come incubo collettivo

ROMA. Erano tre, e il loro cinema horror, ha segnato una generazione dell’America a partire dagli anni ’70. Caposcuola fu George A. Romero con la sua profetica “Notte dei morti viventi” (1968), poi...
A handout picture released on 29 May 2014 by Nocturna International Fantastic Film Festival of Madrid, shows US filmmaker Tobe Hooper during an interview in Madrid, Spain. ANSA/NOCTURNA INTERNATIONAL FANTASTIC FILM FESTIVAL / HANDOUT HANDOUT EDITORIAL USE ONLY
A handout picture released on 29 May 2014 by Nocturna International Fantastic Film Festival of Madrid, shows US filmmaker Tobe Hooper during an interview in Madrid, Spain. ANSA/NOCTURNA INTERNATIONAL FANTASTIC FILM FESTIVAL / HANDOUT HANDOUT EDITORIAL USE ONLY
ROMA. Erano tre, e il loro cinema horror, ha segnato una generazione dell’America a partire dagli anni ’70. Caposcuola fu George A. Romero con la sua profetica “Notte dei morti viventi” (1968), poi vennero Tobe Hooper (“Non aprite quella porta” (1974) e infine John Carpenter (“Halloween”, 1978). Ieri si è spenta la voce di Tobe Hooper, forse il più lucido esploratore del rapporto tra horror e incubo collettivo, l’unico che in uno stesso film fece agire le due maschere più celebri della paura anni ’70: il Freddy Kruger di “Nightmare” e il suo Leatherface di “Non aprite quella porta”. Quando accadde (era un episodio di “Freddy’s Nightmares”), il regista era già oggetto di culto e Steven Spielberg lo aveva adottato come maestro producendo il suo più grande successo, “Poltergeist” (1982).


Nato a Austin, Texas, William Tobe Hooper aveva scelto una quieta carriera d’insegnante in un college di provincia quando scoprì il fascino del cinema lavorando come cameraman volontario per documentari indipendenti. Aveva tenuto in mano la sua prima cinepresa ad appena nove anni e quella passione lo spinse, nel 1969, a tentare l’esordio come regista con lo sfortunato “Eggshells”. Su quel set strinse però amicizia con Kim Henkel che lo indusse a riunire un piccolo gruppo di studenti ed appassionati con cui compose il cast del suo primo, vero successo, “Non aprite quella porta” del 1974. Era un classico B-Movie di taglio horror, ispirato alle gesta criminali del serial killer Ed Gein che aveva l’abitudine di indossare maschere fatte con la pelle delle sue vittime ed avrebbe poi ispirato Hannibal Lecter di “Il silenzio degli innocenti”. Ma la vera novità della sceneggiatura di Hooper consisteva nel fatto che il racconto aveva le forme del falso documentario. Il film, finanziato da una piccola compagnia indipendente con gli incassi di “Gola profonda”, costò appena 140 mila dollari e in una sola stagione incassò oltre 30 milioni di dollari solamente in America. Divenne in breve un’opera di culto. Senza mai prendersi troppo sul serio, del resto, lo stesso Hooper ammise più volte che il suo cinema era strettamente politico e che, il successivo “Poltergeist” mirava a portare nel cuore della famiglia americana (attraverso la televisione) la stessa paura dell’ignoto e l’altra faccia di un mondo solo in apparenza perfetto. Dopo “Poltergeist” non seppe mai più ripetersi e passò fin troppo presto nel pantheon di quei maestri che si consultano con venerazione ma a cui non si affidano nuovi progetti e budget importanti. L’ultimo lavoro (“Djinn”) è del 2013.


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