Ghemon a Marghera «Le mie debolezze escono a Mezzanotte»

L’artista ha saputo traghettare il rap verso la black music Dalla depressione alla rinascita: «È un diario sincero» 
09/02/2018 Sanremo. 68 Festival della Canzone Italiana, quarta serata. Nella foto Ghemon
09/02/2018 Sanremo. 68 Festival della Canzone Italiana, quarta serata. Nella foto Ghemon

MARGHERA. “Mezzanotte” è l’album della consacrazione per Ghemon, artista campano che ha saputo traghettare la tradizione storica del rap italiano verso i nuovi lidi della black music anglosassone. Dopo un caldissimo concerto al Mame il 20 dicembre scorso, il “samurai” di Avellino torna in Veneto: stasera (alle 21.30) sarà a Marghera ad Argo 16 e Input Live. Giovanni Luca Picariello, classe 1982, guarda allo stile dei blasonati producer d’oltreoceano, da Frank Ocean ad Anderson Paak, ma intreccia l’R&B contemporaneo con la canzone d’autore italiana. Ritmi shuffle, groove, parole a raffica in terzine e ritornelli soul raccontano, senza filtri, di una depressione affrontata durante il 2016. Ghemon è alfiere dello stile “conscious”, non c’è spazio per gli eccessi e la “riccanza” dell’hip hop più commerciale. Si punta tutto sull’introspezione e sull’autoanalisi, dal buio del “male oscuro” fino alla luce di una rinascita ottenuta anche con l’ausilio della “chimica”. Così Ghemon, canta, in “Magia Nera” e in molti altri brani (tutti suonati) esponendo anche le proprie debolezze.

È stato difficile condividere un fatto privato come la depressione?

«Questo disco è un diario e ne sono contento. Lo dico con tranquillità sono fatto così, è parte di me, non saprei fare in altro modo. Sono sempre stato pulito da quel punto di vista, nel raccontare le mie cose con molta sincerità, non mi sono ma fatto problemi a raccontare la verità».

La musica può essere un antidepressivo?

«Si, certo, hai voglia. Sotto molti punti di vista. È semplicemente un grandissimo aiuto nei momenti di tristezza, ma è anche dimostrato che lavora in ambito medico sulla serotonina. Io sono un grande ascoltatore ma è soprattutto la scrittura che mi ha aiutato, non tanto come spinta iniziale ma nella successiva fase di elaborazione».

In “Mezzanotte” si parla molto anche di sesso: è un disco carnale?

«Sì, tantissimo, è descritto anche in negativo, spesso diventa uno sfogo, un gesto che non consente di ricevere nulla in cambio. Vale per il sesso, per la musica, il cibo».

Come si è avvicinato all’hip hop? Era un b-boy?

«Nell’era pre internet con un programma radiofonico “Venerdì reppa” su radio Deejay. All’epoca ci si cimentava con tutto, anche scrittura, è un percorso che rimane dentro».

Com’è che poi se n’è allontanato, passando dalle rime al canto?

«Sono arrivato a cantare sempre tramite l’hip hop, ascoltando i grandi classici della black music, studiando i sample originali. Ho lavorato e studiato il più possibile, pensavo di avere orecchio, ma non ho mai dato per scontato di avere un particolare dono per il canto. Oggi sono soddisfatto».

È vero che “Temporale”, un successone, è stata rifiutata a Sanremo?

«L’abbiamo proposta per l’edizione 2017, ma non è stata neanche ascoltata. Il casting è stato fatto sui personaggi e non sulla musica».

Il video di “La Verità” è girato a Venezia: come mai?

«All’epoca vivevo a Treviso, ho un nutrito gruppo di amici veneti, Dj Shocca, Mista e Frank Siciliano, hanno un ruolo importante nell’underground italiano».

Come funziona il suo live?

«Rispetto al concerto di Padova lo spettacolo si è evoluto molto. Ci muoviamo tra i generi, ci sono molti medley, come da tradizione della black music. La band è composta da Ivo Barbieri al basso, Giuseppe Seccia alla tastiere, Teo Marchese alla batteria, Wena ai cori e Filippo Cattaneo Ponzoni alla chitarra».

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