Giovani coreografi crescono creando danza alla Biennale

VENEZIA. Non ci sono solo le coreografie delle “grandi” donne della danza internazionale, da Anne Teresa De Kersmaeker a Trisha Brown, in programma in questi giorni alla Biennale Danza a Venezia. Virgilio Sieni, direttore del Festival, ha voluto dare spazio anche alle creazioni di una serie di coreografi e coreografe italiani, per lo più di età compresa fra i 30 e i 40 anni, che si candidano, pur tra le mille difficoltà che caratterizzano l’orizzonte italiano, a protagonisti di una nuova stagione della danza d’autore anche grazie ad una formazione fortemente segnata dalle esperienze all’estero.
Nei giorni scorsi si è visto all’opera Daniele Ninarello, nei prossimi giorni toccherà a Lara Russo (“Ra-me”), alla bassanese Francesca Foscarini, ideatrice e solitaria interprete di “Back Pack”, ad Annamaria Ajmone (“Tiny Extended”).
Ma stasera alle 20, all’Arsenale, nelle Sale d’Armi, tocca alla più giovane esponente di questa nuova generazione, la ventinovenne Camilla Monga di Garda, in provincia di Verona, diplomata danzatrice alla Paolo Grassi di Milano, una laura breve in arti multimediali e grafica all’Accademia di Belle Arti di Brera. Presenta “13 Objects”.
Come nasce questo suo interesse per la coreografia?
«Mi ha sempre attratta la costruzione dello spettacolo di danza contemporanea, perché, diversamente da quanto accade con la danza classica, in cui spesso ci si ferma allo stilema o, se si va oltre, si cade nel virtuosismo, l’apporto interpretativo del danzatore, non a caso definito “pensante”, è richiesto e sollecitato. Forse perché il contesto vorrebbe essere più “democratico”».
Ci racconti come è arrivata a presentare “13 Objects” a Venezia.
«Grazie ai miei percorsi di studio, nel corso di uno scambio culturale a Bruxelles per la prima volta ho avuto modo di assistere a produzioni di danza contemporanea di respiro internazionale, realizzazioni frutto di una ricerca coreografica molto penalizzata in Italia. Ha fatto il resto il mio inserimento in un percorso di ricerca della P.A.R.T.S. Academy di Bruxelles, un ambiente pieno di stimoli e fermenti, dove ho incontrato attenzione e disponibilità. Così ho presentato ad Anne Teresa De Kersmaeker il progetto “Quartetto per oggetti”, che è stato valutato positivamente e su cui poi ho iniziato a lavorare con la collaborazione di Training Cycle. È maturata, poi, questa opportunità di far vedere la performance in Italia nel contesto della Biennale Danza».
Quali sono i suoi punti di riferimento?
«Dal punto di vista coreografico, la costruzione dello spettacolo riprende il concetto di cellula ritmica in espansione di Varèse, con volumi bassissimi che via via si allargano. Gli oggetti impiegati sono, invece, molto semplici, caratterizzati dalla forma geometrica di Trisha Brown. Fra i miei riferimenti visivi, invece, tutta la filmografia di Jacques Tati e un corto degli anni Ottanta, “Tango” del polacco Zbgniev».
La coreografia verrà proposta nei prossimi giorni, in versione contenuta, al Teatro Grande di Brescia. Di “13 objects” oltre a Camilla Monga, sono interpreti Jacopo Jenna, Viktor Mar Leiffson, Vedis Kjartansdottir.
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