Gli allievi, i seguaci e gli imitatori l’arte fiorita all’ombra di Leonardo

Intorno a Leonardo. Gli allievi, i seguaci, gli imitatori.
È una mostra che – nell’anno delle celebrazioni del cinquecentenario della morte del genio del Rinascimento – si focalizza sul clima artistico e culturale da lui generato al suo tempo quella che da oggi (e fino al 25 agosto) propone a Venezia la Fondazione Levi a Palazzo Giustinian Lolin. “Leonardo e la sua grande scuola” – questo il titolo dell’esposizione, curata da Nicola Barbatelli – presenta infatti 24 opere che illustrano soprattutto la personalità dei cosiddetti “leonardeschi”, che frequentarono la sua bottega in terra lombarda, quand’era al servizio di Lodovico il Moro e che si cristallizzarono in buona parte sullo stile del maestro, restando a distanza siderale da lui. Ebbero però il grande merito di diffondere, attraverso i loro viaggi, lo stile innovativo di Leonardo anche in aree estranee al suo passaggio, come Giovanni Agostino da Lodi (non presente in mostra) a Venezia, Bernardino Luini in Svizzera o Cesare da Sesto nell’Italia meridionale e a Roma.
Lo ricorda anche una storica dell’arte veneziana come Giovanna Nepi Scirè in uno dei saggi che accompagnano il catalogo (ancora in stampa) della mostra. Le opere di alcuni di loro, da Bernardino Luini a Cesare da Sesto, al prediletto allievo Salaì, al Giampietrino a Marco d’Oggiono, sono appunto nella mostra veneziana.
In alcuni casi, con opere di grande livello come la “Marta e Maria Maddalena” o la “Maddalena con vaso d’unguento” del Luini, anche per la capacità di combinare lo sfumato leonardesco con una sorte di rigore metafisico che pervade le sue figure. E proprio la Maddalena è rappresentata in uno dei quadri-simbolo dell’esposizione la “Maddalena discinta” che accanto alla mano preponderante di uno dei leonardeschi – forse Marco da Oggiono per il curatore, forse il Giampietrino per un grande studioso di Leonardo come Carlo Pedretti, da poco scomparso – potrebbe vedere anche la mano del maestro. Singolare anche un grande “San Gerolamo in penitenza” di Cesare da Sesto, che arricchì il linguaggio leonardesco con riprese dall’arte classica e da Raffaello.
Il tratto distintivo dei leonardeschi resta – variamente declinata – la scioltezza compositiva, il ricorso allo sfumato, l’illuminazione diffusa, la bellezza malinconica dei soggetti, l’ambiguità dei volti. La presenza certa di Leonardo in mostra è comunque rappresentata da un frammento di disegno di studio per il perduto affresco della “Battaglia di Anghiari – di cui le Gallerie dell’Accademia espongono in questo periodo diversi fogli – e da quello di una “Resta d’uomo”, ripassato dalla mano di un allievo dell’artista.
La mostra della Fondazione Levi (presentata dal direttore Giorgio Busetto), vede anche la collaborazione della Fondazione Venezia 2000 (presente con il presidente Giuliano Segre) e della Bejing Music Festival Arts Foundation di Francesco Stochino Weiss, anch’egli presente ieri. La mostra infatti, dopo Venezia, volerà in Cina, per essere esposta prima a Pechino dal 15 settembre, e poi a Shanghai e Shenzen. In linea anche con la vocazione musicale della Fondazione Levi, vedrà nelle tappe cinesi anche intermezzi musicali con l’Ugo e Olga Levi Venice Emsemble con allievi del Conservatorio Benedetto Marcello, che eseguirà con strumenti d’epoca musiche rinascimentali e anche brani della tradizione cinese. —
Enrico Tantucci
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