Il filo della Masseria si tende fino agli Usa e Antonia trova Aghavni

di Adina Agugiaro
Aghavni: un nome di donna simile a quello d’un fiore esotico s’è aggiunto da poche settimane all’albero genealogico della famiglia d’origine paterna: quegli Arslanian d’Armenia cui la scrittrice padovana Antonia Arslan ha donato volti, sentimenti e destini in “La masseria delle allodole”. Restituendo al suo popolo e al mondo la storia rimossa ma mai dimenticata del Metz-Yeghern, il Grande Male, che nella visita di questi giorni nella capitale Eravan papa Francesco non ha esitato una seconda volta a definire con un termine secco: genocidio.
Antonia, con il bestseller mondiale della Masseria, pubblicato nel 2004, ha legato con un filo invisibile eppur robusto l’invenzione letteraria alla realtà documentata. L’Armenia all’Italia sino a comprendere gli Usa. Dall’anno dello sterminio - il 1915 -, mai riconosciuto come tale dalla Turchia, al 2015 è passato un secolo cui molti paesi hanno reso onore eppure il genocidio è ancora negato dagli eredi degli antichi carnefici. Ora, al coro dolente di voci familiari, la cui sorte era stata narrata da bambina da nonno Yervant, si sono aggiunte altre voci, altre biografie, altre fotografie dai contorni sfumati dal tempo.
Gli Stati Uniti ospitano la più grande comunità armena al mondo e a primavera ogni anno, quando vi ritorna, Antonia Arslan abbraccia sempre nuovi parenti che, tra un soggiorno a New York e un premio a Los Angeles, aggiungono particolari inediti alla narrazione familiare. Quest’anno a Manchester, New Hampshire, il cugino Yervant - come il nonno di Padova - e suo figlio Kaiel - come il papà di Antonia e come lui medico, le hanno portato in dono la storia di Aghavni e dei suoi fratelli, dal cui ramo provengono. Nomi della tradizione Arslanian per storie che si snodano in luoghi e tempi diversi. Sospese, come tante legate al genocidio, tra salvazione e condanna. «Il bisnonno Hamparzum, giudice del distretto di Kaarpert nall’antica Armenia - racconta Arslan - aveva avuto dal primo matrimonio due figli maschi: nonno Yervant, arrivato giovanissimo in Italia per studiare medicina e zio Sempad il farmacista. Dopo 13 anni di lontananza i due fratelli avevano progettato di ritrovarsi nella masseria d’Anatolia, residenza estiva della famiglia. Ma ecco che nell’aprile di quel drammatico 1915 notizie terribili incalzano: i maschi armeni ovunque braccati tentano la fuga, Yervant rinuncia al viaggio e in un’imboscata di militari turchi Sempad viene ucciso assieme agli altri uomini di casa. La sua testa - lo descrive una scena della Masseria - vola per aria e in un lago di sangue colpisce la moglie Sushanig e la piccola Henriette, che le sta in grembo. Si salva il piccolo Nubar, travestito da bambina. Nello stesso periodo altre sorti drammatiche toccano ai figli di secondo letto del giudice Hamparzum: la più piccola, Aghavni, ripara fortunosamente a Beirut e poi negli Usa; mentre i 4 maschi, tutti medici - uno ad Aleppo, uno a Damasco, uno al servizio dell’ Armata Turca e uno laureando in convalescenza a casa dopo una malattia - sono attesi da una sorte diversa. È quest’ultimo a raggiungere il fratello militare in servizio a Trebisonda sul Mar Nero. I due giovani, attirati dai turchi in una stalla col pretesto di visitare dei malati, vengono pugnalati alle spalle. Poi, l’indicibile: uno degli assassini, portata la notizia della morte del marito a Noemi, bellissima moglie del collega, la chiede in sposa. Inorridita lei rifiuta e l’ uomo allora non esita a trascinarla in mare e ad annegarla. Si salvano i due bimbi della coppia: Hilda, che morirà presto per febbre e abbandono e il maschio, accolto da lontani parenti in Brasile». Quando Antonia tace, è come se i figli di secondo letto del giudice le si facessero attorno, chiedendole di restituirli alla vita tramite la parola scritta. Come i fratellastri della Masseria. «È una storia così emozionante», azzardiamo. Sorride Antonia: «ci sto girando attorno...».
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