«Il libro più bello» Con Marsilio torna “Scano Boa”

A meno di un anno dalla scomparsa di Gian Antonio Cibotto (il 12 agosto 2017) si tornano a pubblicare le sue opere, dopo un braccio di ferro tra la Marsilio, editore di gran parte dei suoi libri, e La nave di Teseo, guidata da quell’Elisabetta Sgarbi di cui il giornalista e scrittore polesano fu maestro, mentore e amico. L’esito del confronto è stato favorevole a La nave di Teseo, che ne ripubblicherà l’opera omnia, ma Cesare De Michelis, che di Cibotto fu a sua volta estimatore e amico, ha avuto la soddisfazione di poter uscire per primo, con il proprio marchio, col piccolo gioiello “Scano Boa”, che Romolo Bugaro nella breve ma intensa nota introduttiva - dopo aver omaggiato la generosità del Cibotto organizzatore culturale - definisce «un disperato, struggente, umanissimo canto all’ostinazione e all’irriducibilità dell’uomo».
Il libro fu pubblicato nel 1961, in contemporanea con l’uscita di un documentario del coetaneo e concittadino di Cibotto, Renato Dall’Ara, che subito dopo vi si ispirò per l’omonimo film con Carla Gravina, José Suarez e Gianfranco Penzo, in cui prevale - pur nel quadro rigorosamente neo-realista - la vicenda della figlia del protagonista, sedotta e abbandonata, che dà alla luce un bimbo sulla barca, durante il funerale del padre. Più fedele alla vicenda narrata nel libro - che è la storia di una inesausta rincorsa di un sogno, la cattura dello storione - è la pellicola girata nel 1995 da Giancarlo Marinelli, con protagonista Franco Citti.
E così Scano Boa, la piccola lingua di terra coi casoni dei pescatori nell’estremo margine del Delta, è diventata un luogo mitico della letteratura, e quindi della memoria profonda del Veneto, contraddicendo il fulminante paradosso con cui Cibotto introduce il suo romanzo breve: «L’esattezza geografica non è che una illusione. Il Delta Padano, per esempio, non esiste. Lo stesso dicasi, a maggior ragione, per Scano Boa. Io lo so, ci sono vissuto». Scano Boa esiste, eccome, molto più di tante località blasonate che non sono altro che dei “non luoghi”, proprio grazie alla penna dello scrittore, vero e proprio demiurgo del Delta, che lui ha amato profondamente, lungamente frequentato e quindi rimodellato nei suoi libri fino a farne un paesaggio universale.
Come è universale (e rimanda a capolavori come “Il vecchio e il mare” o “Moby Dyck”) la vicenda dell’anziano pescatore che torna sul Delta con la nipote e il cane, inseguendo - contro la ragione, il destino, le forze della natura e l’ostilità degli altri pescatori - il sogno di una pesca miracolosa, capace di rimettere in sesto le fortune della sua famiglia e tirare fuori il figlio dalla galera. Una narrazione in cui al “realismo tragico” della condizione dei protagonisti e degli abitanti del Delta si contrappongono il lirismo delle descrizione dei paesaggi acquatici, sospesi tra fiume, cielo ed evanescenti strisce di terra oltre la quale si intravede il mare, e la magia dei sogni che alimentano la battaglia quotidiana contro la frustrazione e la fatica, ma finiscono per obnubilare le menti degli uomini.
«Ho scelto questo libro perché è il più bello fra quelli di Gian Antonio» dice Cesare De Michelis «quello in cui è più evidente l’ispirazione poetica e letteraria, rispetto agli altri grandi titoli, come le “Cronache dell’alluvione”, che nascono dalla sua esperienza giornalistica. Qui Cibotto sfiora il sublime, confrontandosi con i grandi temi della vita e della morte, del sogno e della realtà».
Per i titoli della Nave di Teseo bisognerà invece aspettare qualche mese. Elisabetta Sgarbi, che di Cibotto apprezza soprattutto «la capacità di rendere universali i luoghi amati senza tradirne l’identità», ne ha affidato la cura a Giancarlo Marinelli, che sottolinea dell’amico e mentore «l’attualità straordinaria, e la capacità di esplorare in profondità l’anima del Veneto cogliendone la continuità e la mutazione attraverso le diverse epoche, dalla povertà assoluta del dopoguerra alla ricchezza odierna». Cita Claude Lelouch, il regista e scrittore padovano, per dire che «Cibotto è come Truffaut, che ci insegna a raccontare le storie, a differenza da Spielberg, che le storie le racconta lui stesso, e da Godard, che non le racconta affatto».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova